Tre questioni sul caso di Cittadella
Da ieri tutti i giornali e le televisioni italiane si sono soffermati sulla vicenda del bambino di Padova, suscitando nell’opinione pubblica una serie di emozioni, sentimenti, opinioni fra le più svariate , avendo però come costante quella dell’inutile violenza sul minore.
Ma, se non vogliamo demonizzare tutto e tutti, occorre riflettere, approfondire , perché solo uno sforzo di comprensione può aiutarci a gettare una sguardo giusto e ponderato sulla vicenda.
Mi sembra che sono tre le questioni da valutare. Primo: le emozioni vissute da tutti noi. Le immagini hanno colpito la parte infantile di ciascuno di noi , quella più innocente che ciascuno porta nell’intimo portandoci ad immedesimarci con il possibile dolore del bambino , suscitando indignazione per l’accaduto e ribellione, questo indipendentemente dall’intensità della sofferenza realmente subita dal minore che , pur nella drammaticità delle immagini, non possiamo valutarla fino in fondo.
Seconda questione: i bambini contesi. Purtroppo in Italia, a seguito dell’aumento delle separazioni e dei divorzi , in tutto vi sono quasi 150 mila bambini che , per vari motivi , si trovano in balia dei grandi , costretti a dipendere dalle loro decisioni più o meno giuste. Di questi 150mila, per fortuna, la maggior parte trova una soluzione adeguata nell’affido condiviso e nella concordia dei due genitori che, anche se sono spesso in contrasto fra loro, sono però in grado di “ mettere da parte “ le contese , per garantire affetto ai figli. Purtroppo però ve ne sono molti che vengono “ contesi “ e per i più svariati motivi , spesso manipolati o costretti a subire i litigi dei genitori. Naturalmente in molti casi le situazioni sono più complesse a causa o dell’inadeguatezza di un genitore o di altre problematiche legate alla loro sfera psicologica (spesso labile e carente). Per questo motivo sono da sostenere tutte quelle mediazioni che da anni ormai molti specialisti svolgono con il solo interesse di tutelare il minore e di alleviare la sofferenza.
Terza questione: l’intervento invadente e violento. Occorre considerare che la modalità dell’intervento è importantissima quando si è alle prese con un bambino. Il bambino fa molta fatica a distinguere che , anche se il metodo è invasivo e lesivo della sua persona, il fine è per il suo bene. Ormai in tutti i processi di apprendimento infantile, quello che un genitore vuole insegnare al figlio, non può più prescindere dal come lo fa. La scuola inglese, la Tavistock di Londra ha dimostrato che l’apprendimento non è solo cognitivo ,ma è anche affettivo ed emotivo e non può più prescindere dal rapporto che si instaura fra educatore ed educando. In questa circostanza si ha veramente l’impressione che il metodo sia stato invasivo e per nulla rispettoso del bambino.
Certo è che tutta la scena creatasi attorno al bambino è stata sicuramente drammatica con la nonna materna presente, la polizia , gli assistenti sociali, il padre , insomma tutta una serie di figure che hanno creato ansia e tensione forte determinando nel bambino paura e rabbia. Inoltre, mi sembra comunque riprovevole che la polizia ( anche se come aiuto ) intervenga sul bambino, perché questo può scatenare una forte crisi nel minore, perché la polizia è vista dal bambino come una forte minaccia alla sua intimità , e come se avesse commesso chissà che cosa. Anche la spettacolarizzazione televisiva ha fatto la sua parte ( e spero ardentemente che il bambino non riveda lo spettacolo alla tv perché sarebbe veramente deleterio ), condannando tutto e tutti.
In conclusione , gli sconfitti siamo tutti noi adulti che dovremmo rispettare l’infanzia sempre, invece di adultizzare i bambini ai nostri capricci e non mi riferisco solo all’episodio descritto, ma a tutte quelle trasmissioni gestite da adulti – vedi quelle della De Filippi, Clerici, Bonolis – che fanno vivere ai bambini le cose dei grandi rubando loro l’infanzia.