Tre protagonisti del cambiamento

3 brevi interviste a A. Aped, A. Henri e M. Gaillard.

1) Andy Aped: è il momento di unire

 

Imprenditore, 52 anni, sposato, 4 figli e 5 nipoti. Non è impegnato in un partito, ma nella costruzione dell’unità delle forze della società civile. È coordinatore del “Gruppo 184”, che raccoglie, appunto altrettante organizzazioni sociali; durante la crisi è stato il portavoce della “Piattaforma democratica”, che raccoglieva tutta l’opposizione. Il suo impegno sociale e politico data dal 2000, con l’inizio delle attività della fondazione “Nouvelle Haïti”. Già nel 1984-‘85 lavorava, assieme al padre, nell’incoraggiare il risveglio della società haitiana dopo la partenza di Duvalier; ma non c’era, allora, la possibilità che c’è oggi di realizzare l’unità fra le istituzioni e la società civile.

“Mio padre era presidente dell’associazione degli industriali, che chiedeva la democrazia nel paese. Mio padre aveva conosciuto l’esilio dal 1962, sotto i Duvalier; la famiglia era separata: una parte all’estero, e due figli qui ad Haiti: ci tenevano in ostaggio. Sono cose che ci hanno marchiato. Quando, sotto Aristide, si sono presentati i segni di un dominio totalitario, e avendo già un po’ di esperienza, dopo le elezioni del 2000 abbiamo cominciato a porre il problema della democrazia nel paese, con uno stile moderato e con l’intento di costruire l’unità, su questo obiettivo, di tutte le classi sociali”.

 

Com’era la vita di un imprenditore sotto Aristide?

“Per niente facile, perché il potere non autorizzava la messa in campo di un potere economico o sociale autonomi. Se sei piccolo, va ancora bene, ma se raggiungi una certa dimensione economica o sociale – chiunque tu sia: un ospedale importante, o una grande impresa – il potere non l’accettava, se non avveniva attraverso il potere, per il potere, all’interno del potere. Il nostro impegno di questi anni è stato quello di costruire un’unità fra tutte le espressioni della società civile per trovare una forma di compromesso col potere; quando è stato chiaro che nessun accordo era possibile, siamo andati più lontano”.

“Il potere di Aristide aveva attività di intimidazione, di corruzione e di crimine. Quando abbiamo tentato di realizzare dei compromessi ragionevoli, di cambiare i rapporti di forza attraverso l’unità della società civile, il potere si è chiuso. Negli ultimi tre anni abbiamo subito vari tipi di intimidazioni. Hanno più volte mitragliato la mia fabbrica, poi ci sono stati gli arresti, i dossier fabbricati contro di me. Ma siamo stati protetti: molte preghiere, una comunità che ha compreso il senso della nostra battaglia, qualche appoggio diplomatico che è intervenuto al momento giusto, alcune buone relazioni internazionali che abbiamo coltivato. Siamo stati benedetti”.

 

La sua visione politica è liberale?

“Certamente. L’idea è che per cambiare il panorama politico e guadagnare la libertà economica, sociale e politica, è necessaria un’unità della società civile che colmi il deficit delle istituzioni e delle strutture. Bisogna, ora, organizzare delle buone elezioni; e poi – e sarà un compito del governo – aiutare tutti i settori economici e sociali a darsi una buona strutturazione. Ci vorranno sei-otto anni di impegno in questo lavoro di sostituzione delle istituzioni. Quando gli equilibri democratici saranno ristabiliti, potrò forse pensare ad un impegno politico; ma oggi è il momento di unire, di lavorare per stabilire le regole del gioco”.

 

2) Ariel Henri: credere nel dialogo

 

Esponente del Partito socialdemocratico e della “Convergenza democratica”, dopo la partenza di Aristide è entrato nel “Consiglio dei saggi”. 55 anni, nato a Port-au-Prince, da genitori originari dell’Artibonite, cristiano episcopaliano, è sposato, ha tre figli. Neurochirurgo, ha compiuto gli studi in Francia, ed è ritornato ad Haiti nel 1985. “Sono tornato perché convinto di dover condividere col mio Paese la capacità professionale che avevo acquisito”. È vero che si raccoglie quel che si è seminato: nei giorni dei disordini, quando le bande si sono avvicinate alla sua casa, la gente del quartiere si è stretta intorno alla sua abitazione e alla sua famiglia, impedendo che venisse fatto loro del male.

 

“Al mio rientro in Haiti mi sono reso conto di quanti fossero i diseredati. Mi sono accorto della differenza fra il bene che io potevo fare a un ristretto numero di persone come chirurgo, e la grandezza del bisogno e della disperazione che c’erano nel Paese. È stata mia figlia, che ora ha 25 anni, a ricordarmi tutte le difficoltà che aveva a vivere in questo paese. Mi diceva: “Qui non c’è futuro”. Dapprima, qui ad Haiti, ho preso una nuova specializzazione in “Salute pubblica”; ma non bastava, bisognava cambiare le cose, e sono entrato in politica.

“Sono stati anni di lotta, durante i quali ho avuto molti compagni che si sono ritirati, altri che sono morti. Il regime di Aristide ha messo questo Paese al muro, ha moltiplicato la povertà. Non ho mai esercitato funzioni pubbliche, mi sono dedicato soprattutto a costruire il partito, a creare una rete di relazioni. La mia appartenenza al Consiglio dei saggi è espressione di un lavoro collettivo nel quale intendo rimanere”.

 

Perché è stato scelto come membro del Consiglio?

“Che la scelta sia caduta su di me, dipende, credo, un po’ dal caso. Ma certamente faccio parte di un gruppo che ha sempre creduto nel dialogo e non nelle soluzioni di forza. Siamo andati molto vicini alla catastrofe. È difficile, da fuori, capire quello che è successo qui. Abbiamo avuto uno Stato che distruggeva lo Stato, le istituzioni, le strutture. Il regime di Aristide ha fatto il vuoto: non c’era più sicurezza, né autorità civile. Siamo arrivati quasi all’autodistruzione”.

 

E oggi?

“Oggi viviamo un grande momento di ricostruzione dello Stato e delle istituzioni. Il governo attuale, che potremmo definire “tecnocratico”, è composto da gente onesta. Ora i partiti politici che hanno condotto una grande lotta, devono mettersi in condizione di andare a elezioni libere, dalle quali ripartire. Ma la grande sfida che abbiamo davanti è quella di una riconciliazione nazionale, che non è facile: ci sono profonde ferite e divisioni, ma non possiamo fallire questa occasione per ricostruire il Paese”.

 

 

3) Michael (Micha) Gaillard: un’occasione storica

 

È segretario generale aggiunto del “Conacom”, Il “Partito del Congresso nazionale dei movimenti democratici”, creato all’indomani della partenza di Duvalier attraverso il raggruppamento di varie forze della società civile, poi trasformatosi, nel 1987, in partito politico. È portavoce della “Convergenza democratica”, che raggruppa i partiti di opposizione.

Il padre di Gaillard, studente in Francia, lottava contro la presenza dei francesi in Vietnam; espulso dalla Francia, e non potendo rientrare ad Haiti, ha trovato rifugio in Bulgaria, patria della ragazza con la quale si era legato a Parigi. Così Micha, che oggi ha 50 anni, è nato in Bulgaria. La famiglia è rientrata ad Haiti nel 1958, ma Gaillard è ripartito per la Francia dove, oltre a laurearsi in biologia, ha conosciuto, a un ballo haitiano, Kathy, una ragazza franco-scozzese. Hanno due figli. Ride, quando gli dico che nel suo Dna è scritta la ricerca costante di complicazioni politiche. Fisiologo, insegna alla Facoltà di medicina a Port-au-Prince.

 

“Al ritorno di Aristide, nel 1995 – racconta -, io ero ad accoglierlo; facevo parte della commissione presidenziale di Aristide e lo rappresentavo, ad Haiti, durante il periodo del colpo di Stato. Aristide era un presidente regolarmente eletto dal popolo ed estromesso illegalmente dai militari: io credevo nel rispetto delle elezioni e per questo ho lottato per farlo ritornare. Ma avevo una posizione politica diversa e infatti, al suo rientro, mi sono collocato all’opposizione. In effetti, Aristide ha fatto poi, nelle elezioni fraudolente del 2000, nei confronti dell’opposizione, esattamente ciò che i militari avevano fatto contro di lui: non ha tenuto conto della volontà popolare, mettendo in atto dei brogli che hanno escluso l’opposizione dalla rappresentanza”.

 

Come valuta i fatti di questi ultimi mesi?

“Il rovesciamento di Aristide è maturato attraverso un insieme di avvenimenti, che hanno creato un movimento unitario quale non si era mai visto negli ultimi due secoli. Un fenomeno analogo a quello del 1804, quando la riunione di numerose forze sociali – anche contraddittorie fra loro – produsse l’indipendenza. C’è una connessione fra quanto è successo nel 1804 e oggi. Allora noi abbiamo conquistato la libertà, come abbiamo fatto oggi; allora abbiamo conquistato, teoricamente, la Repubblica, l’uguaglianza, la fraternità; ma, in seguito, abbiamo fallito in queste cose. Oggi abbiamo la possibilità di lavorare per avere una Repubblica e un bene comune come ce l’hanno tutti i paesi democratici, una legalità, possiamo lavorare col pensiero della fraternità”.

 

Su che cosa intende lavorare oggi?

“Il mio politico è di impegnarmi su questi tre obiettivi: a livello statale, per sostenere l’azione del governo di transizione; a livello politico, per costruire un raggruppamento delle forze di centro-sinistra; e a livello di pensiero: costruire un centro di riflessione politica, autonomo, che possa produrre delle idee per l’azione politica, concernenti la Repubblica, la legalità e la fraternità”.

 

[Micha Gaillard è deceduto nel crollo del Palazzo della Giustizia a Port-au-Prince, durante il terremoto. Ariel Henri è stato probabilmente l’ultimo che ha avuto contatti con lui, avendogli telefonato all’ora di pranzo. Avevano scherzato, come sempre]

 

* Questo testo è stato scritto nell’aprile 2004 ed è stato parzialmente pubblicato da “Città nuova”, n. 10, 25 maggio2004.

 

 

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