Tre lezioni universitarie

L’approvazione alla Camera dei deputati, le contestazioni studentesche, gli interessi incrociati. Serve un sussulto di dignità.
protesta studenti

Ho trascorso quattro ore in auto, a Roma, ieri pomeriggio, per lo sciopero della metropolitana, le contestazioni studentesche e la pioggia battente. Così non sono arrivato in tempo per dare una lezione all’università, non ho potuto lavorare per i nostri cari lettori e ho accumulato una buona dose di nervosismo. Ma nel traffico congestionato ho riflettuto sulla cosiddetta Riforma Gelmini, ricavandone tre lezioni.

 

Prima lezione: non ci sappiamo più ascoltare. D’accordo, i metodi violenti usati da certi studenti, le infiltrazioni dei cosiddetti “centri sociali”, la stessa miopia di chi contesta senza badare al contesto vanno condannati. Tuttavia quando in una società scoppiano contestazioni del genere, generalizzate in tutt’Italia, non si può solo accusare una parte politica di aver strumentalizzato il malcontento, perché il malcontento è indiscutibile. Non ci si sa più ascoltare, si pensa che comunicare significhi parlare o gridare, mentre la vera comunicazione comincia dal silenzio, dall’ascolto. Bisogna ascoltare la gente, bisogna anche ascoltare la piazza, ma più ancora bisogna ascoltare i singoli componenti della piazza.

 

Seconda lezione: non si riesce più a dialogare serenamente sul merito delle questioni. Anche alcuni dei nostri lettori “pretendono” che la loro amata rivista prenda posizione, che scelga se stare pro o contro la Gelmini (naturalmente tra i nostri lettori, specchio della nostra Italia divisa, ci sono sia sostenitori del ministro che detrattori). Ma pochi chiedono che si entri nel merito. Perché alcuni elementi della riforma (la lotta ai baroni, la razionalizzazione delle spese, la non rieleggibilità dei rettori…) appaiono certamente positivi almeno nelle intenzioni, mentre altri (i tagli indiscriminati alla ricerca, la mortificazione di tanti precari, le limitazioni della proposta formativa…) lasciano forti dubbi. Dobbiamo saper entrare nel merito, senza paura, al di là delle divisioni ideologiche ed emotive. Serenamente, pensando che la verità è complessa, non è solo la “mia” verità.

 

Terza lezione: la società è complessa, sempre più complessa, e non è giusto elaborare soluzioni semplicistiche per problemi che sono estremamente complessi. Bisogna tornare alla semplicità, piuttosto. La riforma pare recepire giuste critiche al sistema universitario, ma le risposte che riesce a formulare sono di breve respiro, più di cassa che d’investimento. E se una nazione come l’Italia taglia troppo sulla cultura e sulla formazione rischia di perdere il suo specifico, quello che l’ha fatta grande nel mondo. Certamente si ritroverà una classe dirigente non sufficientemente preparata a far riguadagnare credibilità (e posizioni) al Paese nel consesso internazionale. Ma per giungere alla semplicità (condivisa) serve un grande movimento di pensiero, che coinvolga tutti gli attori in campo. Purtroppo non è stato il caso di questa riforma.

 

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