Il travaglio del Pd
A qualche mese dalla sconfitta referendaria, il Partito democratico appare irriconoscibile. Il segretario Matteo Renzi, dopo Palazzo Chigi, ha lasciato anche la segreteria e le fasi che hanno portato alle dimissioni sono state accompagnate da polemiche e accuse culminate con la fuoriuscita dal partito di alcune figure caratterizzanti: Bersani, innanzitutto, che ne è stato il segretario e candidato premier; Speranza, il giovane deputato primo capogruppo della legislatura; e anche Massimo D’Alema, già protagonista di una aperta campagna per il “No” al referendum e iniziatore del movimento “Consenso”. Con loro dovevano esserci, oltre ai rispettivi milieu, anche due presidenti di regione: Enrico Rossi della Toscana e Michele Emiliano della Puglia, ma quest’ultimo ha cambiato idea in extremis, decidendo di restare nel partito e dare battaglia a Matteo Renzi per la segreteria. Con la candidatura del ministro della Giustizia Andrea Orlando, si è completata la terna degli sfidanti.
Aprile, mese decisivo
Così, mentre si costituiva da parte dei fuoriusciti il “Movimento democratici e progressisti”, ovvero Mdp, il Pd avviava il complesso procedimento del congresso che include le elezioni primarie. Importante non ridurre alla sola giornata del voto, il 30 aprile, un momento cruciale come quello che sta attraversando il Pd, anche se l’informazione è molto concentrata sulla sfida dei tre. In realtà tutto il partito è coinvolto in assise che si svolgeranno con larga partecipazione degli iscritti, secondo un calendario che prevede riunioni dei circoli per arrivare alla convenzione nazionale del 9 aprile e al voto per l’elezione del segretario il 30 dello stesso mese. Oltre a questi momenti che devono servire a un confronto capillare tra gli iscritti, il partito si apre anche ai non iscritti in occasione, appunto, dell’elezione del segretario e dell’Assemblea nazionale, il 30 aprile. Ognuno di noi può quindi andare a votare per Renzi o Emiliano od Orlando, anche se non vota Pd? In realtà, a norma del regolamento, possono partecipare «le elettrici e gli elettori che dichiarino di riconoscersi nella proposta politica del partito, di sostenerlo alle elezioni, e accettino di essere registrate nell’albo pubblico delle elettrici e degli elettori». Quindi chiunque vada ai gazebo il 30 aprile dovrà essere disposto a sottoscrivere queste dichiarazioni, oltre che contribuire al finanziamento con almeno 2 euro.
Gli sfidanti
Chiarite le procedure, pur importanti, resta da considerare la rilevanza politica di questo congresso. Renzi è tornato in campo con grande grinta, aprendo con una manifestazione molto partecipata al Lingotto di Torino.
Resta il favorito e i sondaggi lo confermano, ma Orlando ed Emiliano sono due sfidanti di tutto rispetto, il primo dal profilo basso ma di grande spessore, il secondo che buca lo schermo con la stazza fisica e l’estrema schiettezza dei concetti, che gli hanno fatto guadagnare la fama di “grillino del Pd”. Già Renzi ha dovuto accedere a innovazioni linguistiche non scontate per lui: tutti hanno registrato, durante la convention del Lingotto, l’uso del “noi” al posto dell’“io”, benché ci voglia anche qualche concretizzazione per rassicurare circa l’effettività di un tale capovolgimento. Altra novità, ha fatto capolino nel suo intervento il tema del disagio sociale, cronicamente assente, mentre è rimasta inalterata la retorica, capace di coniare slogan efficaci ma difficili da riempire di contenuto.
In evidente opposizione a questa linea narrativa, Andrea Orlando ripropone con pacatezza argomentativa le tematiche della sinistra tradizionale, alla quale appartiene senza infingimenti, cresciuto com’è nel Pci, poi Pds e Ds. Egli può far breccia non solo tra i più nostalgici, ma anche tra coloro che vedono in Renzi, che rimane ideologicamente inafferrabile, una rottura con l’ispirazione egualitaria che connota la sinistra.
Michele Emiliano ha scelto un profilo marcatamente anti-renziano e inoltre convoglia su di sé le rivendicazioni del Mezzogiorno, altra piaga sociale trascurata negli ultimi anni. Due sfidanti, quindi, insidiosi. Tra tutti e due probabilmente supereranno il 50%, il che impedirebbe a Renzi l’elezione diretta e rimanderebbe tutto a un ulteriore voto, in Assemblea, a scrutinio segreto di ballottaggio tra i due candidati «collegati al maggior numero di componenti l’Assemblea». Si tratta quindi di una sfida vera che interessa l’intera politica nazionale, anche perché può portare novità positive sotto il profilo dei contenuti.