Trasparenza, onestà, rispetto della legge

Riportiamo alcune reazioni all'editoriale “La repubblica degli avvocati” del sottoscritto e all'articolo di Carlo Cefaloni intitolato “Le regole del gioco elettorale”, pubblicato gli scorsi giorni su questo sito. Si apre un interessante dialogo tra redazione e lettori…

Queste prime lettere, a dire il vero, provengono da una parte sola dello scacchiere politico. Ma aspettiamo missive anche dall’altra parte.

 

Scrive ad esempio il nostro lettore Massimo Seregni, responsabile Sviluppo Africa dell’Inter Campus – Inter Futura Srl di Milano (massimo.seregni@inter.it): «Capisco che il buonsenso vuole che a tutti gli elettori venga consentito di esprimere il proprio voto, ma credo anche che sia molto più grave consentire che vengano ignorate le regole. Un’elezione (locale poi) vale l’altra, chi non vota oggi lo farà tra quattro anni, ma la violazione delle regole è un vulnus gravissimo al vivere civile. Cosa è più importante e moralmente valido nel momento in cui esprimere il proprio voto richiede la violazione di regole condivise per tutti? Io trovo assolutamente grave ed immorale (nonché pericoloso) che si accetti che il più forte può cambiare le regole, mentre il debole deve soggiacere alla legge.

La legge davvero come diceva Giolitti si applica per i nemici e si interpreta per gli amici? Io penso ai tanti giovani che poco si interessano di politica (e a qualcuno fa comodo così): qual è il messaggio che ricevono da questa vicenda?  Che il voto è un diritto? Oppure che la legge non vale per i più potenti?

Ognuno di noi sa che se ritarda un pagamento paga la mora, se presenta una domanda fuori tempo non viene accettata, se al contatto con la pubblica amministrazione nelle sue varie forme non si presenta in modo adeguato, con le carte in regola, viene respinto. Perché questo non vale per le forze politiche più rilevanti? La forza fa il diritto? Attenzione ad accettare questo messaggio e ad avallarlo.

Eppoi non sta al partito del centro sinistra dare il benestare “dall’alto”. Che diritto ha di accettare una violazione delle regole? Vogliamo anche qui avallare che i due maggiori contendenti politici possono fare accordi e favori sulla pelle del diritto? Quanto alla figura del presidente della Repubblica, che è il “garante della Costituzione”, se non ci pensa lui a difendere la legge, chi lo farà al suo posto? Dire “sì, sì, no, no” talora può portarci a sbagliare, ne sono consapevole, ma dire “nì, nì” non potrà mai portare qualcosa di buono».

 

Da Toulouse, invece, ci scrive l’amico Rocco Femia, direttore della bella rivista Racines-Radici-Raices (www.raices-press.net): «Penso che tu ti sia alquanto distratto nello scrivere l’ultimo editoriale su Internet. Tu dici : “Abbiamo perso tutti nella vicenda delle liste elettorali tardivamente o malamente depositate nei tribunali in vista delle prossime elezioni. Così come abbiamo perso tutti nelle vicende che hanno portato alla ribalta, accanto e addirittura al di sopra dei politici, gli avvocati: dalla Protezione civile alle beghe giudiziarie del premier, dalle collusioni di certi parlamentari con le varie mafie del Paese alle tante vicende di corruzione”.

Non capisco cosa vuoi dire con “abbiamo perso tutti”. Francamente. Perché mettere tutti nel calderone di un malaffare di cui conosciamo nomi e cognomi? Io non ho perso niente… né moralmente né idealmente. Hanno perso coloro di cui forse dovresti fare i nomi, quei mercanti del tempio che di questi tempi, hanno nome e cognome e sono trasversali. Ma nelle vicende di cui tu parli non mi sembra giudizioso fare appello alla responsabilità di tutti quando si è trattato di un ennesimo attentato alla democrazia.

E gli attentati, tu lo sai bene, da tempo ormai hanno una sola fonte: le scelte di Berlusconi.

«Poi dici: “Prendiamo la vicenda delle liste elettorali in Lombardia e Lazio: il Pdl e il centrodestra ci hanno fatto una brutta figura, dimostrandosi confusionari e pressappochisti, preda di lotte intestine nella composizione delle liste. Ma anche il centrosinistra ha perso un’occasione d’oro per poter ‘volare alto’, offrendo alla parte avversa un benestare ‘dall’alto’, con l’obiettivo di consentire uno svolgimento equilibrato della competizione elettorale, il momento-principe della democrazia elettiva, come più volte ha sottolineato il presidente Napolitano”.

Lì francamente esageri e non capisco per quale motivo. Che c’entra la sinistra in questa vicenda e perché avrebbe dovuto “volare alto”, offrendo alla parte avversarie un benestare “dall’alto”. Pensi veramente che sia possibile con questo governo avere uno svolgimento democratico non solo della vita elettorale (del resto lo dici bene nel seguito del tuo articolo), ma di tutto il resto della vita del Paese? Lì, se non hai peccato di ingenuità, posso perdonarti (si fa per dire) una tua distrazione. Sul resto dell’articolo sono d’accordo con te».

 

Dal Canton Ticino ci scrive invece lo scrittore Andrea Paganini, altro nostro fedele lettore: «La democrazia in Italia sta soffrendo, da tempo, una grave crisi e una costante erosione. Dopo il decreto legge steso dal governo nella notte tra venerdì e sabato, anche mons. Domenico Mogavero, responsabile Cei per gli affari giuridici, ha preso posizione (poi puntualmente richiamato per timore che la verità possa pestare i piedi a qualche potente): “Cambiare le regole del gioco mentre il gioco è in corso è un atto altamente scorretto”.

Cos’è successo? Non avendo rispettato le regole per l’iscrizione delle liste per le elezioni regionali in due regioni, Lazio e Lombardia (ritardo nella consegna e irregolarità nelle firme), il governo Berlusconi ha pensato bene di ritoccare le regole a posteriori: nel giro di 24 ore ha scritto un decreto legge per tornare in partita e l’ha fatto firmare al Capo dello Stato. Tale decreto legge è evidentemente un atto autoassolutorio con il quale il partito di maggioranza (e quindi l’esecutivo) legifera sulle regole elettorali per ovviare ai propri errori e senza consultare la controparte. 

Perché questo comportamento presenta aspetti di manifesta scorrettezza (etica)? Fra le regole della democrazia ve n’è una – fondamentale – che in questo caso è stata palesemente violata: “La legge è uguale per tutti”. Basta pensare a cosa sarebbe successo se le parti fossero state invertite. Immaginiamo che a non aver rispettato le regole per l’iscrizione delle liste fosse stata l’opposizione di centrosinistra, anziché la maggioranza di centrodestra: evidentemente non sarebbe stata in grado di stilare un decreto legge e quindi di autoassolversi.

A meno che, riconoscendo il proprio errore, si fosse chinata a parlare con i propri avversari e a chiedere un atto di clemenza e di responsabilità nei confronti anche del popolo votante per riconferire eleggibilità a chi, per un errore banale, sarebbe stato altrimenti escluso dalle elezioni. Pronta anche a incassare un no (ciò che è accaduto all’Udc, a Trento, alle ultime elezioni).

«Questa era la via che anche la maggioranza avrebbe dovuto percorrere: assumere le proprie responsabilità, scusarsi per i disguidi causati, chiedere un atto di comprensione, di apertura, di ragionevolezza e di magnanimità agli avversari (del resto Bersani, Di Pietro e Casini avevano già affermato di volersi battere sul campo e di non voler vincere "a tavolino").

Pronta anche a incassare un no. Magari si sarebbe potuto rinviare il voto, aspettando che tutti i concorrenti siano in regola ai "blocchi di partenza. (Non dovrebbe forse essere questo il comportamento di ogni singolo cittadino anche nella vita civile di ogni giorno?).

Ha invece preferito un atto unilaterale che ha portato alla luce, una volta di più, come un’istituzione importante come il Governo Nazionale venga strumentalizzata a vantaggio di una parte, anziché mantenere la doverosa equidistanza “arbitrale” che dovrebbe avere e dimostrare chi scrive le regole del gioco. Evidentemente è più che ragionevole, direi doveroso, che il partito di maggioranza prenda parte alle elezioni; ma c’è modo e modo. Italia, scuotiti dal torpore, dall’indifferenza, dal fatalismo! Italia, cresci e sii seria! Italia, “vogliti” bene!».

 

Da Arezzo ci scrive Spartaco Mencaroni, giovane e acuto lettore: «Ho apprezzato molto l’articolo di Carlo Cefaloni apparso il 5 marzo sul sito di Città Nuova. Mi pare che metta finalmente in luce un aspetto di questa vicenda che rischia di passare in secondo piano, spintonato sullo sfondo dalle baruffe e dalle polemiche, sempre capaci di conquistare la ribalta mediatica. Il punto, ben centrato fin dal titolo, è quello delle regole.

Ci sembra ingiusto che il legittimo impegno civico di chi magari vuole lavorare per il Paese debba essere vanificato da qualche pastoia burocratica formale. In certi contesti questo sentimento è comprensibile: non sono un appassionato di calcio, ma quando un fuoriclasse prende la palla, salta tutta la difesa e segna un goal spettacolare, dispiace anche a me se si alza la bandierina del fuorigioco.

Il problema è che una tornata elettorale non si può assimilare ad una finale di Coppa dei Campioni. Le regole di cui parliamo regolano la vita civile in un senso che va ben oltre i 90 minuti più eventuale recupero.

«Da un po’ di tempo, le regole siamo sempre più avvezzi a considerarle qualcosa di accessorio, una pastoia che riguarda solo chi è meno intraprendente, magari meno furbo. E ci stiamo abituando anche a pensare a chi queste regole le fa rispettare come a qualcuno mosso invariabilmente da interesse personale e di parte. È ragionevole che il calciatore deluso si rivolga all’arbitro, purché lo faccia con il dovuto (e non scontato) rispetto.

E’ comprensibile che si rivolga anche al pubblico, comunicando con i gesti e le espressioni ben note il fatto che “ce l’hanno con lui e non lo fanno giocare”. È meno comprensibile e assai meno ragionevole che si comportino in maniera analoga coloro che pretendono di rappresentare un Paese. Sarebbe meglio che, a destra come a sinistra, si riflettesse di più sulle conseguenze della deligittimazione di regole e istituzioni che servono alla tenuta delle garanzie democratiche.

C’è un rispetto dovuto a queste regole e a queste istituzioni che non può mancare in nessuna circostanza, nemmeno quando si rischia di non poter scendere in campo. Senza contare che, se il fuorigioco esiste, è perché altrimenti non sarebbe possibile giocare».

 

 

Non rispondiamo a tutte le domande poste da queste lunghe e appassionate lettere. Vorremmo però solo indicare qual è stato il nostro atteggiamento di fondo, quello d’altronde che da sempre Città Nuova persegue: il bene comune e null’altro. In questo senso l’esame di coscienza non può che essere a 360 gradi, e investire tutte le forze politiche e sociali in campo: se siamo arrivati qui non è solo colpa di Berlusconi e delle sue televisioni, ma anche delle risposte non adeguate arrivate da altre parti. In particolare ci sembra importante “volare alto”.

 

Sì, proprio così: la politica italiana “vola molto basso” di questi tempi, e si infogna continuamente in diatribe e in accuse reciproche, senza riuscire ad entrare nel merito delle questioni aperte. Quando succede qualcosa del genere nel nostro Parlamento, come è stato il caso della legge sulle cure palliative, ebbene, si raggiungono risultati ottimi ed edificanti.

 

Purtroppo in questi frangenti riemerge il fatto che la legge viene continuamente violata, come testimoniano i tanti casi di corruzione emersi negli ultimi tempi, così come lo sbandieramento di interessi personali spacciati per interessi comuni.

Su questo bisogna vigilare, ne conveniamo, e denunciare quanto non corrisponde al bene comune della Repubblica e del popolo italiano. Ma non possiamo limitarci alla denuncia: bisogna costruire, nel merito, fare proposte costruttive. 

Michele Zanzucchi

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons