Trasformismo politico, si continua
Sono trascorsi quasi due anni, ormai, da quando il Movimento politico per l’unità e il Movimento Umanità Nuova diedero inizio alla capillare divulgazione nel Paese di un documento-appello rivolto a tutte le forze politiche, inerente due urgenti riforme istituzionali fra loro intimamente connesse: la legge elettorale e una regolamentazione dei partiti in senso più democratico.
Un’accelerazione a questa azione si è registrata negli ultimi mesi con la promozione della campagna “EleggiAMO l’Italia”, supportata da una petizione online e culminata il 22 marzo in un partecipato convegno a Montecitorio. La campagna è quindi proseguita con una raccolta di firme nel Paese, ancora in corso di svolgimento.
Fra le richieste avanzate nel documento-appello ce n’è anche una riguardante la modifica dell’articolo 67 della Costituzione, che molto semplicemente recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Era un pilastro della libera dialettica democratica, introdotto dai padri costituenti per non imbrigliare l’operato degli eletti entro i rigidi schemi di partito, lasciandoli liberi di seguire la propria coscienza, in un’epoca in cui i partiti avevano una pervasività ideologica e morale oggi quasi del tutto scomparsa.
Purtroppo i partiti politici, ai nostri giorni, superate le ideologie del Novecento, si sono trasformati in mere macchine elettorali, che mirano a guadagnare consensi e a conservare il potere difendendo gruppi di interesse o interessi particolaristici.
E, in questa deriva, il divieto di mandato imperativo previsto dall’articolo 67 della Costituzione, anziché garanzia di libertà democratica, si è rivelato ai nostri giorni come il grimaldello per scardinare vieppiù la dinamica democratica, già abbondantemente compromessa da una legge elettorale, che dovrebbe essere la pietra angolare della democrazia di un Paese e che non consente al popolo di scegliere i suoi eletti, ma solo di apporre una croce su un simbolo demandando pieni poteri ai direttivi di partito.
Non lo si può negare, infatti: l’assenza di vincolo di mandato ha consentito agli eletti in Parlamento di cambiare tranquillamente “divisa”, passando da uno schieramento all’altro, di fondare un proprio gruppo politico e, magari di usufruire di un finanziamento pubblico per un organo di stampa legato alla neonata forza politica.
In quest’ottica, nel documento-appello, nel paragrafo “Fedeltà dell’eletto al proprio elettorato” si avanzava questa proposta: «L’assenza di vincoli di mandato di cui all’articolo 67 della Costituzione dovrebbe essere interpretata come la libertà per un parlamentare di lasciare il gruppo parlamentare nel quale è stato eletto, ma solo ed esclusivamente per aderire al cosiddetto “gruppo misto”. La possibilità di creare nuovi gruppi parlamentari attraverso scissioni o riaggregazioni dovrebbe essere preclusa, come pure la facoltà di un parlamentare di aderire singolarmente a un gruppo parlamentare diverso da quello di originaria appartenenza, fatta eccezione per il menzionato “gruppo misto”».
Un emendamento in tal senso, volto a un aggiornamento dell’art. 67, era anche giunto all’esame del Parlamento (promotori sette senatori: Della Seta, Ferrante, De Sena, De Luca, Di Giovan Paolo, Garavaglia, Maritati, Ranucci e Scanu). È stato bocciato alla grande, con 233 no, 45 sì, 3 astenuti.
La proposta si limitava ad aggiungere un secondo comma alla dizione dell’art.67 : «I membri del Parlamento rappresentano la nazione senza vincolo di mandato. Decade dal mandato il parlamentare che s’iscrive a un gruppo parlamentare, diverso dal misto, che non rappresenti il partito per cui è stato eletto». Se approvata avrebbe costituito un argine al triste fenomeno del trasformismo e dei ribaltoni.
Ma purtroppo i partiti fanno costantemente quadrato quando si tratta di difendere le scappatoie che consentono loro di non rendere conto del proprio operato. Miopia acuta: perché il malcontento della gente è in crescita costante nei confronti dei partiti, e si fa sempre più difficile recuperare il rapporto di reciproca fiducia tra classe dirigente e società.