Trasformare la memoria
Piero Coda, teologo, è preside dell’Istituto Universitario Sophia a Loppiano (Figline-Incisa Valdarno). Tra le sue tante opere ricordiamo “Dalla Trinità” (Città Nuova).
La commemorazione congiunta della riforma protestante del XVI secolo – dicevamo la volta scorsa – c’invita ad assumere sino in fondo la postura di fede suscitata dal Vangelo di Gesù. È così che ci riconosciamo fratelli, cattolici e protestanti, in virtù dell’unico battesimo. Ora, è proprio questa postura che ci permette di realizzare una lettura veramente evangelica anche del passato di divisione, di conflitto e di mutua incomprensione che condividiamo, un passato che tanto negativamente ha gravato sulla storia dell’Europa e del mondo. È infatti la Pasqua di croce e di risurrezione, di morte e di vita nuova, di tenebra e di luce, del Signore Gesù che, essendo il centro vivo della nostra fede, deve diventare in noi criterio risolutivo d’interpretazione dell’attuarsi del disegno di Dio sull’umanità nel dramma e nelle contraddizioni della storia. Il punto di partenza di questa rilettura evangelica del passato è senz’altro la confessione, da parte di ciascuno, come singoli e come comunità, delle proprie colpe ai piedi della Croce di Gesù, per offrirle al giudizio di misericordia della sua grazia. A partire da qui si tratta poi di cogliere, per quanto è possibile, il paradossale e persino scandaloso “sì” dell’amore di Dio che misteriosamente agisce – per mezzo del Figlio suo crocifisso e risorto – anche nel “no” peccaminoso dell’agire degli uomini. È ciò che abbiamo cominciato a sperimentare nella scia della nuova, ancorché timida e incipiente chiarità che si è dischiusa nel cammino ecumenico degli ultimi decenni. Lo ha intuito con forza e nitidezza, ad esempio, Giovanni Paolo II in queste parole che mi permetto di riportare qui a motivo del loro prezioso significato: «Potremmo domandarci: perché lo Spirito Santo ha permesso tutte queste divisioni? In genere, le loro cause e i meccanismi storici sono conosciuti. È legittimo però chiedersi se non vi sia anche una motivazione metastorica. A questa domanda possiamo trovare due risposte. Una, più negativa, vede nelle divisioni il frutto amaro dei peccati dei cristiani. L’altra, invece, più positiva, è generata dalla fiducia in Colui che trae il bene persino dal male, dalle debolezze umane: non potrebbe essere, dunque, che le divisioni siano state anche una via che ha condotto e conduce la Chiesa a scoprire le molteplici ricchezze contenute nel vangelo di Cristo e nella redenzione da lui operata? Forse tali ricchezze non sarebbero potute venire alla luce diversamente» (Varcare la soglia della speranza, Mondadori, 1994, p. 167). È questo, nel profondo, lo sguardo che ci è chiesto. È solo così che si può guardare anche al conflitto delle interpretazioni a proposito del significato della riforma protestante nella storia complessiva della Chiesa. Per cogliere e valorizzare nella loro dialettica ciò che in ognuna di queste interpretazioni ci aiuta a mettere in luce una genuina espressione del Vangelo e per respingere invece ciò che si mostra al Vangelo estraneo e persino contrario. «Mentre il passato non può essere cambiato – recita la Dichiarazione congiunta in occasione della commemorazione della Riforma –, la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati». In questo esercizio comune di trasformazione della memoria potremo forse giungere a sperimentare in atto anche nella nostra storia di cristiani delle differenti tradizioni quanto la lettera agli Efesini (2, 14-16) scrive a proposito della riconciliazione di Giudei e Gentili, con Dio e tra loro, che accade in Gesù crocifisso e risorto: «Egli è colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia … per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia».