Transizione ecologica, una svolta radicale

Scontiamo decenni di pregiudizio anti ecologista, ma ora si tratta di agire presto con scelte straordinarie
Transizione ecologica

L’Italia non ha mai avuto un grande partito “verde”. Per tanto tempo l’attenzione all’ambiente è stata considerata un intralcio allo sviluppo di un grande Paese industrializzato.

È arrivata con ritardo la consapevolezza che non si può consumare e distruggere un pianeta in mancanza di uno di riserva, soprattutto da quando Cina, India e gran parte del cosiddetto Terzo mondo, hanno iniziato ad adottare stili di vita occidentali.

La seria possibilità della catastrofe è un dato di fatto per le elites intellettuali ed economiche che parlano apertamente di una necessaria transizione ecologica incentrata soprattutto dal punto di vista energetico.

Con l’accordo di Parigi del 2015 si è accertato il pericolo immediato del riscaldamento globale indotto dalla produzione eccessiva di CO2 (anidride carbonica). Lo affermano gran parte degli scienziati (si veda articolo di Fiorani in questo numero), anche se una parte degli stessi e della società parlano di un terrorismo ideologico che usa l’icona di Greta Tumberg e finanzia la presenza mediatica dei Friday for future ( lo sciopero per il clima dei giovani che ha riempio molte piazze in Occidente). Sono critiche che colpiscono anche la Chiesa e papa Francesco, accusati di venerare la Terra come una dea. Insinuazioni facilmente smascherabili a partire dai tanti che perdono la vita difendendo il Creato e i poveri dalla violenza di chi estrae profitto dai beni comuni. A cominciare dall’Amazzonia.

Come è noto la CO2 si produce soprattutto dalla combustione di petrolio, carbone e gas naturale. Intorno a questi combustibili fossili gira la nostra vita e le strategie geopolitiche mondiali, cioè le guerre commerciali e quelle dei cannoni. I tempi mitici della politica estera italiana sono quelli legati all’intraprendenza di Enrico Mattei, creatore dell’Eni, la grande azienda di stato (Ente nazionale idrocarburi), che osò sfidare l’egemonia del cartello delle società petrolifere statunitensi, creando alleanze con i Paesi produttori, fino a restare ucciso in un misterioso incidente aereo. Oggi l’Eni resta un gigante transnazionale, sotto controllo pubblico tramite Cassa depositi e prestiti, determinato dalle fonti fossili di energia mentre si può fermare il cambiamento climatico solo ricorrendo alle fonti rinnovabili. Quelle cioè che inquinano molto di meno, non si esauriscono e si rigenerano a fine ciclo: luce solare, il vento, la pioggia, le maree, le onde e il calore geotermico.

L’uso dei combustibili produce una concentrazione di sostanze nell’atmosfera che provoca in Italia, secondo gli ultimi dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, oltre 60 mila morti premature all’anno.

Svolta geopolitica

L’irrinunciabile passaggio alle fonti rinnovabili, come dimostra l’Istituto affari internazionali (IAI), non migliora solo l’ambiente e la salute collettiva ma è destinato a produrre cambiamenti epocali: saremo meno dipendenti dai Paesi produttori di fossili e da quelli di transito, arricchendo la nostra bilancia commerciale (meno importazioni) e l’intera economia non più soggetta ai cambiamenti repentini dei prezzi delle materie prime: importiamo ad oggi il 90% del nostro fabbisogno di petrolio e gas.

Con un patrimonio di conoscenze e tecnologie innovative nel campo delle rinnovabili, l’Italia, secondo l’Iai, può stringere alleanze strategiche importanti nella vicina area del Mena (Medio oriente e nord Africa) che «vanta tra i migliori livelli di irradiazione solare al mondo» e quindi è in grado di produrre energie pulite a costi bassi. Con effetti positivi sul lavoro e lo sviluppo locale, eradicando le cause della povertà, delle guerre e delle migrazioni.

L’Italia è stata anche all’avanguardia nel campo della produzione di energia da fissione nucleare, un procedimento che non produce CO2. Il percorso è stato prima rallentato e poi interrotto con i referendum popolari che si sono tenuti nel 1986 e nel 2011, cioè dopo i gravi incidenti delle centrali nucleari di Chernobyl (Russia) e Fukushima (Giappone). Il ritorno al nucleare sembrava ormai cosa fatta dopo gli accordi tra Berlusconi e Sarkozy del 2009, con il convinto supporto di Chicco Testa, ex presidente di Legambiente, e di tanti altri sponsor trasversali, ma arrivò il disastro giapponese. Per il momento resta il problema di dove collocare le scorie radioattive,che nessuno vuole, delle centrali dismesse. Ciò non toglie che nel resto del mondo, soprattutto in Cina che controlla alcune miniere in Africa, si vuole tuttora incrementare il nucleare già esistente con l’eccezione della Germania che intende spegnere i suoi reattori nucleari entro il 2022. Non è un caso che i verdi tedeschi siano ormai il secondo partito dopo la Cdu di Angela Merkel.

Da noi molte delle istanze ambientaliste sono state assunte dal M5S anche se tale spinta si è poi attenuata come ad esempio nel caso della promessa riconversione dell’Ilva di Taranto. Beppe Grillo si è comunque intestato il merito di avere condizionato il governo Draghi alla creazione del ministero della Transizione ecologica, al cui vertice è stato nominato Roberto Cingolani, uno scienziato proveniente da Leonardo Spa, società dell’aerospazio, difesa e sicurezza che, secondo la missione finora ricevuta dal controllore pubblico, è riuscita a collocarsi tra i primi 10 produttori di armi al mondo.

Il ruolo delle banche

Non è stata positiva finora l’esperienza di un simile ministero in Francia. Per mancanza di volontà politica del presidente Macron, a parere di Gael Giraud, già capo economista dell’Agence Française de Développement e ora direttore del Centro per la giustizia ambientale della Georgetown University di Washington. Giraud è considerato un punto di riferimento sulla transizione ecologica. A suo parere l’Italia può impegnarsi per una vera riconversione ecologica. Cosa fare subito? Un grande piano per l’innovazione termica degli edifici, promuovere la mobilità e industria verde oltre all’agro ecologia.  Sono tutte attività che producono molti posti di lavoro. Giraud non ha difficoltà a riconoscere nelle grandi banche un ostacolo alla transizione ecologica dato che queste possiedono troppi crediti e azioni collegate alle energie fossili: con una svolta verde perderebbero troppi soldi.  Dal 2016 al 2019, 35 tra le maggiori banche del Pianeta, JP Morgan in testa, hanno incanalato 2.700 miliardi di dollari verso società collegate alla filiera dei combustibili fossili.

Gli investimenti in ricerca e infrastrutture verdi richiedono enormi capitali. Per il ministro Cingolani la vera svolta consiste nell’ “energia delle stelle”, quella originata dalla fusione, non fissione, nucleare. Un filone che vede impegnata l’Eni assieme al Mit di Boston.

Le risorse, pur straordinarie, del Recovery fund rappresentano, quindi, solo l’innesco di un processo che va alimentato. Si tratta di riconvertire l’intero sistema bancario verso la dismissione degli investimenti sulle fonti fossili. Secondo l’economista Leonardo Becchetti «la Banca centrale europea può fare politica ambientale decidendo di comprare crescenti quote di debito degli stati a condizione di destinarli alla transizione ecologica».

Un nuovo “what ever it takes, per ripetere la frase di Draghi che, nel 2012, da governatore della Bce affermò che avrebbe fatto “tutto ciò che è necessario” per salvare l’euro dalla speculazione. Si tratta ora di salvare non più una moneta ma il pianeta.

L’era dell’idrogeno tra Eni e Enel  

“L’Italia è l’Arabia saudita delle energie rinnovabili”, secondo l’economista statunitense Jeremy Rifkin che nel 2002 prevedeva l’avvento imminente dell’” economia dell’idrogeno”. Ma è difficile liberarsi dalle fonti fossili di energia. Scontiamo, come nota l’ambientalista scientifico Massimo Scalia, la scelta di Ronald Reagan (presidente Usa dal 1981 al 1989) di dirottare verso l’industria nucleare e militare le risorse dedicate alla ricerca di alternative al petrolio. Il disastro di Fukushima del 2011 ha impedito il ritorno dell’energia atomica anche in Italia. Solo negli ultimi anni sono nate alleanze internazionali per l’idrogeno “sostenibile” che vedono assieme grandi società e istituzioni. Eppure, come spiega il ministero dello sviluppo economico, «l’idrogeno non è una fonte di energia presente in natura, ma può essere prodotto attraverso diverse fonti, ad esempio da idrocarburi come il gas metano (idrogeno grigio) o da fonti rinnovabili attraverso il processo di elettrolisi (idrogeno verde)». Tralasciando l’idrogeno “viola”, prodotto dal nucleare, esiste anche quello “blu”, derivante da fonti fossili ma con oltre il 90% del carbonio “catturato” e depositato in giacimenti sotterranei. Sul presupposto dei lunghi tempi necessari per sviluppare l’idrogeno verde, l’Eni sostiene la necessità di utilizzare il sistema del ccs (Carbon Capture and Storage) suscitando forti dissensi, anche sulla fattibilità tecnologica, tra gli ambientalisti che chiedono, invece, di investire sulle fonti rinnovabili. Su questa linea sembra porsi l’Enel, in un inedito conflitto tra due grandi società controllate dallo Stato.

Ad ogni modo anche l’Enel propone per la centrale di Valdaliga Nord a Civitavecchia la conversione dalla produzione a carbone a quello a gas. Decisione contestata, in un territorio inquinato dalla presenza di 3 centrali a fonti fossili, dalla cittadinanza favorevole a investimenti per la mobilità verde e la riqualificazione del grande porto della città.  Anche i lavoratori della centrale sostengono le fonti rinnovabili per una «riconversione che possa tenere insieme ambiente e lavoro duraturo».

Chi la spunterà nella versione finale del Piano nazionale di ripresa e resilienza? È probabile che subirà variazioni anche il Piano nazionale energia e clima che ha ricevuto forti critiche sia dai sostenitori dell’idrogeno verde che da quello blu.

La cura del ferro

C’è molto da aspettarsi dall’azione di Enrico Giovannini, fondatore e promotore dell’Asvis, Alleanza per lo sviluppo sostenibile (270 organizzazioni in Italia), ora, con il governo Draghi, titolare del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. Intervistato da Città Nuova a settembre 2020 aveva previso tempi lunghi per l’elaborazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Autore di testi quali “Utopia sostenibile”, è consapevole che «il capitalismo degli ultimi 40 anni, che pure ha prodotto risultati straordinari, non è in grado, per sua natura e impostazione culturale, di affrontare i problemi del XXI secolo che sono quelli della non sostenibilità ambientale ma anche economica e sociale (diseguaglianze) di un modello che presuppone una crescita quantitativa continua e senza fine».

Come nota l’economista Leonardo Becchetti «una parte importante del riscaldamento globale dipende dai trasporti» e quindi un programma di governo è molto vasto: dalla «mobilità sostenibile alla rete ferroviaria da incrementare assieme agli interventi per rendere verdi i porti e il trasporto aereo».

Il nodo centrale è costituito dalla definizione delle cosiddette “grandi opere”. Per fare un esempio, occorre la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, che qualcuno sostiene, oppure la costruzione di una diffusa rete ferroviaria nel Meridione e in particolare in Sicilia?

Un grande progetto proposto da tempo da Legambiente, che fa parte dell’Asvis, è quello della “cura del ferro”. Per scelte legate all’industria automobilistica «l’Italia resta saldamente in testa alle classifiche mondiali per tasso di motorizzazione (70,7 veicoli ogni 100 abitanti)». I numeri pre pandemia parlano di un  «pendolarismo, soprattutto nelle grandi città, con numeri incredibili: secondo i dati dell’Istat a Roma ogni giorno si spostano 1,34 milioni di pendolari; 650mila a Milano; 420mila a Torino; 380mila a Napoli». La sfida è quella di aumentare la frequenza di passaggio dei treni e mezzi di trasporti pubblico alimentati in maniera ecologica. Una stima dei costi essenziali per un piano di acquisto e riqualificazione dei mezzi pubblici si aggirava sui 5 miliardi di euro in 10 anni. Una spesa sostenibile secondo  Legambiente per «un grande piano industriale  capace di liberare le nostre città da traffico e inquinamento, aiutando il clima del Pianeta e rilanciando il lavoro in Italia».

 

 

 

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