Tramutare il dolore in amore
Se Cristo resta solo nel fratello, anche noi restiamo soli.
Gesù agonizza e noi dormiamo. Ci rifiutiamo all’onere della redenzione, in cui è il nostro onore di redenti. Dedichiamo il tempo a cose che interessano l’esistenza destinata a perire, e non troviamo un’ora, da dedicare a Dio, la vita eterna. Non lo ascoltiamo, per paura d’ascoltare un gemito. E così Gesù vigila, tra i rovi e i tronchi: e l’anima dorme, tra cuscini e sogni. Perde il tempo prezioso: perde forse l’eternità per non rinunziare a un’ora d’inerzia. E dunque: «Non un’ora sola avete potuto vegliare con me?». Ma la grandezza dell’uomo non è dunque questa: di esser messo in grado di stare al livello del Maestro nel momento in cui egli crolla a terra? Lo abbiamo con noi, nelle catapecchie e nelle officine, negli ospedali e nelle strade; e lo fuggiamo. Basta levar gli occhi per vederlo in ogni creatura che soffre, per incontrarlo sul marciapiede, a casa, in campagna. Basta alzare un lembo della benda che ci vela la vista dei fratelli – e cioè basta amarli – per scoprire in ciascuno una desolazione. La nostra solidarietà di un’ora sola conforterebbe Cristo che spasima in quel fratello, in ogni fratello. L’unità lo consolerebbe: la divisione, ne moltiplica la desolazione. Ma, se così egli resta solo, anche noi restiamo soli; desolati, in mezzo al trambusto; e ciò per paura della solitudine. Se fossimo soli col Solo a confortare, noi uomini, lui Dio, ci faremmo uno con la divinità, con l’eternità, con l’infinita felicità; compagni di lui solitario. È dato a noi di formare una compagnia di apostoli e discepoli che non abbia paura della paura di Gesù nell’orto; che anzi la facciano propria, amandola, tuffati con lui nelle tenebre; vegliando con lui che veglia; sanguinando con lui che sanguina. Ogni dolore sia nostro, noi che per lui possiamo scegliere il dolore del mondo per tramutarlo con lui in amore; noi che vediamo in ogni creatura che piange Gesù che piange e in ogni disperazione Gesù che chiede compagnia. Tocca a noi d’esser compagni di Gesù solo, perché non sia più tale. Ritrovato l’uomo, egli poi ritrova Dio, al culmine del suo sacrificio. Per lui e con lui, possiamo essere, nel mondo, filtri che tramutino l’ambascia in letizia, la solitudine in compagnia.
(Da: La divina avventura, Città Nuova, 1955)