Traiano: il grande imperatore
Bando alle polemiche, ma probabilmente del Centenario ricorrente quest’anno, il 19° della morte dell’imperatore Traiano, la nostra classe politica dirigente, e specialmente l’odierna guida amministrativa di Roma “imperiale” (!), avrebbe fatto volentieri a meno. Perché?
Ma perché Traiano, uno dei migliori imperatori romani sia per gli antichi che per gli storici moderni, ricordato non a caso come l’Optimus Princeps, incarna politicamente l’esatto contrario dei politici e dei leader di oggi.
Grandezza invece di piccolezza, senso dello stato invece di corporativismo-lobbysmo, concordia invece di beghe di partito e divisioni, integrità morale invece di corruzione, amor patrio e giustizia sociale invece di egoismo del “particulare” da un lato (Guicciardini docet) e di povertà e disoccupazione dall’altro.
Allora vediamo perché Traiano è stato grande e oggi fa apparire degli gnomi i nostri governanti-legislatori-amministratori. Adottato dall’imperatore Nerva, che dopo la dittatura di Domiziano stava riformando lo stato romano secondo i principi nobili e alti dello stoicismo, Marco Ulpio Traiano prima diventò console, poi andò a governare la non facile (neanche allora!) Germania e alla fine del I secolo, nel 98 d.C., subito dopo la morte del padre adottivo fu eletto nuovo Augusto dai senatori, con tutti i crismi di legge.
Era iniziato l’impero adottivo disegnato sull’ideologia stoica, che voleva appunto i migliori al governo, gli uomini più dotati, capaci e sperimentati. Chi può darle torto, specialmente oggi, quando il più delle volte avviene esattamente l’opposto?
Che Traiano fosse stato scelto con questo spirito è dimostrato, oltre che dalle sue doti superiori e da quanto combinò come imperatore, e che vedremo subito, pure dal fatto che l’uomo era in origine un oscuro provinciale della Spagna, militare di carriera, ma lontano da Roma e dai suoi circoli di potere e di intrigo. Erano state le sue doti morali, umane, intellettuali, militari, di comando e anche fisiche (salute, robustezza, capacità di lavoro, resistenza al dolore ecc. ecc.) a spianargli la strada verso l’adozione da parte di Nerva e poi verso il trono dell’Urbe e dell’impero.
Su questo trono, poi, in senso materiale, Traiano ci avrebbe posto assai poco le sue imperiali terga, visto che girava continuamente a cavallo con le sue legioni per le province romane a puntellare il limes, per esempio sul Reno e sul Danubio centrale, o a fare nuove conquiste, come quelle della Dacia, oggi Romania, e della Mesopotamia. Tanto che nell’arco di pochi anni proprio sotto Traiano l’impero romano ha raggiunto la sua massima estensione.
Prima si potevano vedere in via dei Fori Imperiali, sul muro della Basilica di Massenzio, le 4 tavole di marmo raffiguranti l’espansione di Roma da Romolo appunto a Traiano, cioè dal Palatino al mondo. Adesso non è più possibile (e Dio sa se in quest’anno traianeo non sarebbe stato più che opportuno!) perché sono coperte già da anni dal cantiere della metropolitana C. Ogni riferimento alla già deplorata distanza tra le glorie di ieri e le miserie di oggi è puramente casuale.
Queste conquiste peraltro, e qui veniamo alla politica sociale dell’Optimus Princeps, Traiano non le faceva per pura grandeur, ma per ragioni più che altro economiche. La Dacia la conquistò, e duramente, per le miniere d’oro, che avrebbero fatto più ricco anche il popolo di Roma, mentre la spedizione contro i Parti che fruttò la nuova provincia mesopotamica avrebbe aperto a Roma le vie commerciali verso l’oriente anche estremo.
E i Romani ci sarebbero arrivati, come racconta in un suo libro Massimo Valerio Manfredi e come confermano certi reperti archeologici rinvenuti in Cina e riguardanti nientemeno che Marco Aurelio, terzo successore di Traiano. Qualcuno dirà: ma queste conquiste costavano. Ebbene, non lo dite a Traiano che, anche se vincitore, proprio mentre tornava dalla terra dei Parti gli prese un colpo apoplettico e ci lasciò le penne. Nel 117, 1900 anni fa.
Concludiamo col Traiano che rimane, davanti ai nostri occhi, a Roma e non solo, monumentale e bellissimo. I Mercati Traianei arrampicati al Quirinale, il Foro di Traiano che si continua a scavare da anni, la gigantesca Colonna Traiana con la guerra di Dacia scolpita nella sua spirale. E poi ancora il nuovo Porto di Traiano, esagonale, tra Fiumicino e Ostia, e, fuori Roma, l’acquedotto di Segovia e persino il Tempio della Lirica famoso in tutto il mondo, l’Arena di Verona. Meraviglie immortali realizzate anche queste a scopo sociale, per far lavorare tecnici e progettisti, operai e trasportatori.
Infine l’unico “neo”, ma non tanto da poco: il famoso rescritto di Traiano, il documento dove l’imperatore spiega a Plinio il Giovane, governatore in Bitinia, come trattare la “patata bollente” rappresentata dai cristiani. Non perseguirli come tali e cestinare le denunce anonime. Se denunciati, arrestarli e interrogarli; se sacrificano agli dei o all’imperatore, proscioglierli da ogni addebito; se no, andare fino in fondo.
È persecuzione, certo, ma non con arbitrio (Nerone), né di massa (Decio, Valeriano) né con decreti appositi (Diocleziano). C’è discriminazione anticristiana nel rescritto, fino al limite massimo; però c’è anche una certa moderazione, si respira aria di diritto romano. E poi, chi è senza peccato…