Tragedia ferroviaria in India

La tragedia ferroviaria accaduta in India nel distretto di Balasore ha lasciato mezzo mondo senza parole. Trecento i morti e un migliaio i feriti, ma sarà difficile stabilire l’esatto numero delle vittime. Intanto a Nuova Delhi è stato inaugurato il nuovo palazzo del Parlamento, con la benedizione di soli sacerdoti indù
India tragedia ferroviaria
Spettatori nel luogo in cui i treni sono deragliati, nel distretto di Balasore, nello stato indiano orientale di Orissa, domenica 4 giugno 2023. Le autorità indiane interrompono i soccorsi e iniziano a ripulire i rottami mutilati di due treni passeggeri deragliati nell'India orientale, uccidendo oltre 300 persone e centinaia di feriti in uno degli incidenti ferroviari più mortali degli ultimi decenni. (AP Photo/Rafiq Maqbool) Associated Press/LaPresse

Uno scontro fra due treni è già una tragedia, ma quando ad essere coinvolti sono tre convogli di cui due con le carrozze di seconda classe strapiene, allora si arriva alla strage. Quanto successo qualche giorno fa nello Stato dell’Odisha, nell’India orientale (circa 250 chilometri a sud-ovest di Kolkata-Calcutta) non è una novità per l’immenso Paese. Gli incidenti sono frequenti.

L’India detiene il record della rete ferroviaria nazionale più estesa nel mondo (128.305 km), anche se solo la metà è elettrificata. Secondo le statistiche, nel 2020 le Indian Railways (Ferrovie Indiane) hanno trasportato circa 90 milioni di persone e intorno a 1.400 milioni di tonnellate di merci. I tredicimila treni che quotidianamente viaggiano in India trasportano un numero di persone superiore alla popolazione di non pochi Paesi nel mondo. È una nazione in movimento. Si tratta di un sistema a cui hanno dato vita ancora i colonizzatori inglesi a metà del XIX secolo e che è rimasto in eredità alla Repubblica indiana, che non ha cessato di modernizzarlo ed espanderlo. Tuttavia, i treni sono in massima parte obsoleti e trasportano, soprattutto nelle zone rurali e più povere, migliaia di persone letteralmente ammassate nelle carrozze di seconda classe.

Negli ultimi 20 anni l’ammodernamento è stato più rapido ed efficace che in passato, ma spesso le linee e le infrastrutture rimangono le stesse. Sebbene ci siano treni ad alta velocità – ancora lontanissimi dagli standard europei o di altri Paesi dell’Asia (Taiwan, Repubblica Popolare Cinese, Corea e Giappone) – non sono pochi gli incidenti. La causa è da ricercarsi sia nei sempre possibili errori umani – ma non pare sia stata questa l’origine del problema nel disastro di questi giorni – che nell’imprevisto malfunzionamento di segnali e scambi.

E se le tragedie sono abbastanza frequenti, tenendo conto della quantità dei treni e delle persone e merci trasportate, nella media non sono però superiori a quelle di altri Paesi che appaiono muniti di infrastrutture ferroviarie più moderne ed efficienti. Nella giornata di domenica 4 giugno l’on. Ashwini Vaishnaw, ministro delle Ferrovie, ha scagionato sia i macchinisti che le infrastrutture, affermando che è stata costituita una commissione di inchiesta in quanto non si esclude un atto di sabotaggio. Sembrerebbe ci sia stata una manipolazione nel sistema elettronico della segnaletica. Testimoni e dati elettronici sembrano escludere che i convogli viaggiassero ad una velocità superiore a quella prevista.

Ovviamente si sono subito accese polemiche a livello politico. L’opposizione ha chiesto subito le dimissioni del ministro delle Ferrovie e l’on. Mallikarjun Kharge, presidente del Partito del Congresso, si è rivolto polemicamente al primo ministro, Narenda Modi, invitandolo a concentrarsi sullo stato reale della rete ferroviaria, piuttosto che passare da una inaugurazione all’altra di nuove linee ferroviarie o di treni superveloci (per lo standard locale), occasioni a cui Modi interviene spesso e che fanno parte della sua propaganda politica rivolta alla classe media e medio-alta, che lo sostiene da anni al governo del Paese.

Il disastro ferroviario ha, intanto, distolto l’attenzione da un altro avvenimento che ha suscitato non poche polemiche a livello politico e non solo. Si tratta dell’inaugurazione a Nuova Delhi del nuovo palazzo del Parlamento indiano che, oltre a sfoggiare un lusso estremo per un Paese il cui 50 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, è stato benedetto da un grande numero di swami (sacerdoti indù) in una cerimonia sontuosa che ha visto una sfarzosa processione con il primo ministro attorniato da clero indù (e solo indù). È necessario ricordare che l’India, fin dai tempi del pandit Nehru, ha sempre mantenuto una sua tipica forma di laicità che consiste nel trattare in modo paritario tutte le varie religioni che si trovano nell’immenso Paese.

La cerimonia di inaugurazione del palazzo istituzionale ha confermato invece il processo di inducratizzazione che è in corso da anni con il governo Modi. Sebbene il Parlamento indiano rappresenti un miliardo e quattrocento milioni di persone di molte etnie e diverse religioni (indù, musulmani, cristiani, buddhisti, sikh, zoroastriani, baha’i, ebrei e non poche di carattere tradizionale e naturale), l’immagine che si ricava dalla sfarzosa cerimonia è che il palazzo rappresenti solo il 78 per cento della popolazione, quello di fede induista.

I decenni passano, cambiano gli scenari storici e politici, ma l’India continua ad essere il Paese dei grandi contrasti.

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