Tradimenti verso sé stessi

Lei gallerista, lui editore, l’altro agente letterario. Assomiglierebbe ad una delle tante commedie da boulevard: un convenzionale triangolo in cui un tale diventa l’amante della moglie del suo migliore amico. Se non fosse che la storia si snoda a ritroso. Diventando un “dramma sulla memoria”. Harold Pinter fa iniziare Tradimenti dall’epilogo: l’incontro gelido tra gli amanti, in un bar, a due anni di distanza dalla definitiva rottura della loro relazione clandestina durata sette anni; per concludersi con l’inizio casuale della loro passione. Come appendice, c’è l’appuntamento tra i due amici – con il marito a conoscenza del tradimento – per una chiarificazione che non sarà tale. Perché nessuno si svela fino in fondo. Concettualmente, come sempre in Pinter, sotto la facciata di un tema, affiora quello più sottile del mistero del comportamento umano:per dire l’innafferabilità e l’usura dei sentimenti. In Tradimenti, col fallimento e l’infelicità che tutti si ritrovano, se ne ricava una parabola sul male che si fa anzitutto a se stessi nel tradire, e solo poi eventualmente agli altri. Il drammaturgo britannico fa scorrere i dialoghi secondo la sua consolidata tecnica di ripetizioni e associazioni, per cogliere le ambiguità, i cliché e i vezzi di un parlare quotidiano ma continuamente allusivo, che disegna una geometria di rapporti tessuti di finzione e inganno. E astratta, con qualche arredo, è la scena dell’allestimento di Valerio Binasco, con un angolo rialzato somigliante alla pagina di un libro: come a sfogliare la memoria degli avvenimenti; mentre, a immergerci nel flashback sono delle proiezioni di data e luogo. Pregevole la regia di Binasco, che ha un occhio particolare allo stile del teatro pinteriano: costruisce una rete di sguardi, di gesti trattenuti, di pause e battute febbrili – pure divertenti – giocati tra cinismo e disincanto dai tre bravi interpreti: Iaia Forte, Tommaso Ragno, e lo stesso regista.

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