Tra Zenit e Nadir: rotte educative per una giustizia riparativa
Il settimo rapporto sulla giustizia minorile appena presentato dall’associazione Antigone sottolinea un dato allarmante: all’inizio del 2024 erano reclusi negli Istituti penali minorili (Ipm) quasi 500 ragazzi, un record nell’ultimo decennio. Se guardiamo il totale degli ingressi in carcere per anno, vediamo che sono stati 835 nel 2021 e ben 1.143 nel 2023, la cifra più alta negli ultimi quindici anni.
Questo incremento non è casuale, ma dipende da quanto previsto nel decreto Caivano, voluto fortemente dal governo in carica come reazione al terribile stupro perpetrato da un gruppo di minorenni su due bambine avvenuto nel comune napoletano nel 2023. Ancora una volta, la reazione a un evento drammatico è stata quella di aumentare il ricorso al carcere. L’estensione della custodia cautelare in carcere è lo strumento che ha condotto in prigione tanti ragazzi autori di reato: i ragazzi in Ipm in misura cautelare erano 340 nel gennaio 2024, ma solo 243 un anno prima.
Inoltre, il decreto Caivano impedisce l’accesso alla messa alla prova per diverse tipologie di reati e ha aumentato la possibilità di trasferire i ragazzi divenuti maggiorenni dagli Ipm alle carceri per adulti, in cui si finisce spesso per cadere nelle maglie dei circuiti criminali.
È un deciso passo indietro rispetto agli orientamenti che si erano affermati nella giustizia minorile italiana, nella quale il rispetto del superiore interesse del minore si è concretizzato in un ricorso esteso alle misure alternative alla detenzione.
Da alcuni anni, diverse organizzazioni ed esperti che non credono né efficaci né giuste le risposte puramente repressive rispetto ai reati, stanno sperimentando percorsi di Giustizia riparativa. Si tratta di un modello che si è già affermato in altri Paesi europei e che, in presenza di un reato, non si limita a punire l’autore dell’atto, ma tenta di ricostruire una relazione positiva tra il soggetto deviante o a rischio di devianza con la vittima del reato e la comunità all’interno della quale il reato è stato commesso.
All’interno del modello riparativo il reato è una ferita, una lacerazione che coinvolge autore del reato, vittima e comunità. L’obiettivo della Giustizia riparativa è quello di aiutare il reo a comprendere le ragioni che lo hanno portato a commettere il reato e i danni che ha causato alla vittima e alla collettività, ad assumersi concretamente la responsabilità di quanto fatto e ad adoperarsi attivamente per ricostituire il suo legame con la comunità. Nello stesso tempo, la Giustizia riparativa sostiene la vittima nell’elaborazione di quanto vissuto, non lasciandola sola, e chiama la comunità locale a ragionare su quello che è accaduto e sui modi per favorire la costruzione di relazioni personali e sociali nuove e positive là dove il reato ha creato una rottura. È un percorso a cui non si può essere obbligati, tutti gli attori possono scegliere se aderire o meno a una proposta così impegnativa, che non risolve tutto buttando una persona in una cella ma che apre domande, suscita emozioni e sofferenze, chiama a difficili rielaborazioni, attiva azioni e reazioni.
Proprio il modello riparativo è alla base del progetto “Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto”, che vede l’Istituto don Calabria e il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) come partner nazionali insieme a un’altra sessantina di partner locali (Comuni, scuole, enti della Giustizia minorile, enti del terzo settore). L’iniziativa, finanziata dall’impresa sociale Con i Bambini, si propone di sperimentare azioni di Giustizia riparativa rivolte a minorenni e neomaggiorenni coinvolti nel circuito penale o autori di atti di devianza. Il progetto è presente in tre regioni – Lombardia, Veneto e provincia di Trento – e finora sono stati presi in carico 420 ragazzi e ragazze.
Sono moltissime le esperienze che sono state attivate all’interno del progetto, usando le più diverse occasioni e attività per coinvolgere i ragazzi autori di reato o di atti devianti, le comunità locali e, in alcuni casi, le vittime. Incontri, laboratori, attività culturali, azioni civiche a favore del territorio, agricoltura sociale e cura degli animali, viaggi… tante iniziative per ingaggiare i ragazzi coinvolti rispetto a un mondo lavorativo vario e originale, facendoli lavorare su espressività, desiderio, motivazione, e dove l’attività culturale diventa strumento di inclusione sociale e rigenerazione del territorio.
Siamo convinti che per promuovere un’azione riparativa veramente efficace sui territori sia necessario costruire delle “comunità educanti”: non solo gli attori della giustizia minorile, ma tutti i soggetti della comunità – Comuni e scuole in primis – sono chiamati a ragionare e attivarsi per una azione di riconciliazione che, senza fare sconti a nessuno, apra prospettive positive per chi è coinvolto, a vario titolo, nei conflitti e negli atti devianti che avvengono sul proprio territorio. Per questo il progetto sta promuovendo la costituzione in ogni provincia in cui è presente (Milano, Brescia, Cremona, Verona, Vicenza, Treviso, Venezia, Trento) di un Tavolo permanente per la Giustizia riparativa, che dovrebbe essere il motore delle azioni riparative avviate dalla comunità locale.
Il nostro auspicio è che l’azione del progetto Tra Zenit e Nadir aiuti quel processo di istituzionalizzazione della Giustizia riparativa iniziato nel 2022, anno in cui la riforma Cartabia ha introdotto la Giustizia riparativa nel nostro ordinamento. Un percorso ancora incompiuto. In particolare, vanno ancora istituiti i Centri per la Giustizia riparativa presso tutte le Corti d’Appello. Il cammino per affermare i principi della riparazione, della riconciliazione e della rigenerazione, invece della mera repressione, è ancora lungo e tortuoso.
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