Tra timori e nuove soluzioni

C'è  paura, in Ungheria, per una nuova piena di fango tossico. La bonifica però è già partita e si sperimentano nuove tecniche anti-inquinamento.
Fango rosso in Ungheria

Per le istituzioni, il pericolo di una seconda piena del fiume di fango tossico che nei giorni scorsi è fuoriuscito dall’impianto della Mal S.A. ad Ajka, in Ungheria, è ormai archiviato. Non così per la popolazione, che – considerando la fragilità delle dighe e nonostante la realizzazione di uno sbarramento di un nuovo argine vicino al comune di Kolontàr – teme una nuova esondazione.

 

Vista la tossicità del materiale fuoriuscito, che ha ricoperto case e strade, misurazioni e sondaggi vengono effettuati con gli elicotteri. La prima ondata di fango rosso, pari a 800mila metri cubi di materiale di scarto della lavorazione dell’alluminio, ha finora causato 9 vittime e 150 feriti. La paura della gente è che, con una seconda piena, a quei metri cubi di fango tossico se ne possano aggiungere altri 500mila, provocando nuovi morti.

 

Di fronte alla sciagura, c’è stata molta disperazione, ma non sono mancati atti di coraggio e di solidarietà. Come quello di un imprenditore di 37 anni del posto che, vedendo arrivare l’ondata, invece di fare retromarcia, ha dato l’allarme col cellulare si è gettato nel fiume di fango con il suo fuoristrada per salvare coloro che non riuscivano a mettersi in salvo. Purtroppo, al momento di tornare indietro, non ha potuto vedere che il ponte sul quale doveva passare era crollato, ed è stato risucchiato. Il suo corpo e la macchina sono stati ritrovati due giorni più tardi, un centinaio di cento metri più a valle.

 

Per l’Ungheria, si tratta di una tragedia ecologica e umana e dopo lo shock iniziale, tutto il paese si è mobilitato. «Dopo la valanga di fango abbiamo sperimentato una vera valanga di solidarietà e amore» dice il parroco di Devecser, don Miklos Mod. Da persone semplici e da imprenditori sono arrivati viveri, vestiario, coperte, giocattoli, utensili. Polizia, protezione civile, esercito, aviazione e migliaia di volontari, invece, continuano a lavorare 24 ore su 24 mettendo a rischio la propria salute. Rilevanti anche i danni alla fauna del ruscello Torna e del fiume Marcal: per rimediare ci vorranno almeno 3-4 anni. Si teme che anche il Danubio possa essere inquinato, per questo motivo Slovacchia, Croazia, Serbia e Romania stanno effettuando severissimi controlli sulla qualità dell’acqua del grande fiume.

 

Grande solidarietà è arrivata anche dall’Unione europea: 12 paesi hanno offerto la collaborazione di 43 esperti, di cui 5 sono già sul posto per coadiuvare le autorità ungheresi. Dalle analisi finora effettuate nei laboratori mobili, si sono avuti risultati abbastanza incoraggianti, nel senso che gran parte dei metalli pesanti e delle molecole tossiche sono in una forma non solubile. Resta da organizzare la pulizie delle abitazioni – 260 case ed alcuni  edifici pubblici – e dei campi, che deve essere effettuata con una certa urgenza perché se il fango si secca, la polvere tossica potrebbe essere spinta dal vento anche molto lontano.

 

Una buona notizia è che i ricercatori hanno già sperimentato due metodi naturali e biologici per fare ripartire i processi vitali e microbiologici delle terre coltivabili. Prima di agire, però, bisogna togliere almeno 10 cm di superficie su circa 6.000 ettari, per un totale di molti milioni di metri cubi di terra inquinata.

 

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons