Una parabola moderna, quella del Paese dei fiamminghi e dei valloni, ora a un altro incrocio della sua storia.
«Tra i galli, i belgi sono i più valorosi», scrisse Giulio Cesare. Mentre oggi il New York Times si chiede perché questi popoli guerrieri siano sull’orlo di una separazione dolorosa. C’è poi lo scandalo dell’abuso dei minori che ha raggiunto qualche alto prelato nella più cattolica delle sue province: chi immagina un regno sonnolente, nella sua discreta opulenza, una stanza piena d’arte e di buon gusto culinario, un’oasi tranquilla che circonda i 50 mila eurocrati della capitale dell’Europa unita è servito. Stato e Chiesa: belgi sull’orlo del collasso, allora? Come spiegare al di fuori che in realtà il Paese continua ad avanzare come un lungo fiume tranquillo, seppur con qualche turbolenza?
Cerchiamo di capire. I belgi, da sempre circondati da popoli potenti e demograficamente almeno sei volte più numerosi, sono una strana invenzione dei tempi moderni, dal 1830, per far da cuscino tra i “grandi”. Con Carlo Magno (800 circa d.C.), che nasce all’Est del Paese, il suo territorio non è diviso tra Nord e Sud, come ora, ma tra Est e Ovest, cioè tra le contee più ricche del Regno di Francia e del Sacro romano impero. Per chi non ci vive, il Belgio può sembrare anche surreale (non solo perché ha avuto tra i suoi pittori corifei del surrealismo). E se, invece, non fosse altro che una parabola dello sforzo nel XXI secolo di vivere insieme, tra gente diversa? Il Belgio è una miniatura dell’Europa perché è il più autentico punto d’incrocio di gente del Sud e del Nord, che vivono l’unità nella diversità.
Così per la politica. E la Chiesa? Facciamo anche qui un passo indietro: nel pieno della reazione cattolica contro i tempi moderni, nell’Ottocento, la Chiesa belga conclude con le forze liberali borghesi il patto che farà nascere il Belgio, nel 1830 appunto. La sua Costituzione sarà un modello di coabitazione pacifica tra Chiesa e Stato liberale. Una Chiesa dinamica, assai aperta per quei tempi, e libera nell’insegnamento e nelle opere di carità. Sotto la guida di pastori aperti e dell’Università di Lovanio – cattolica, da sempre al centro dello scacchiere tra diverse tendenze teologiche, con aperture intelligenti e ragionate ma senza distaccarsi troppo dalle opzioni romane –, la Chiesa belga ha partecipato al dialogo con la modernità, dando un secolo dopo un contributo di equilibrio al Vaticano II.
Allora il Belgio è stato un buon esempio fino a poco fa? Perché no, per il suo senso innato del compromesso, cioè della nobiltà, del cercare di conciliare chi la pensa diversamente, poiché la verità vale la pena di cercarla insieme, come un’avventura sempre aperta.
Cos’è dunque successo in queste ultime settimane? Sono state indette nuove elezioni per metà giugno, perché dopo tre anni di discussioni i politici non hanno potuto trovare un compromesso accettabile su una questione forse minore, ma altamente simbolica. Mentre, guarda caso, il giorno dopo la caduta del governo scoppia lo scandalo del vescovo che si ritira confessando di aver abusato di un nipote per parecchi anni. Dimissioni accettate subito dal papa.
Fine del Belgio e fine della Chiesa, allora? Nessun giornale oserebbe un titolo simile. Un Paese e una Chiesa in cerca di nuovo equilibrio? Questo, invece, sì. Politicamente i sociologi di Lovanio hanno provato che i fiamminghi che vogliono la fine del Belgio e una Fiandre indipendente sono sempre il 10 per cento: non crescono. E il politologo Rihoux, specialista di conflitti comunitari, sostiene che quello del Belgio è il meno preoccupante tra gli undici conflitti aperti in Europa. Non vuol dire che sarà facile uscire dalla crisi: ma per la prima volta i francofoni si sono convinti che i fiamminghi non chiedono senza ragioni una riforma dello Stato in senso più federale. E che, dopo le elezioni, bisognerà trovare un buon compromesso.
E la Chiesa? 14 anni dopo l’orribile scandalo Dutroux, il Belgio si confronta una seconda volta con la questione pedofilia. Ma questa volta perché il cammino verso la trasparenza e la tolleranza zero sta dando risultati. La Chiesa, in seguito allo scandalo Dutroux, aveva istaurato una commissione indipendente per trattare tutti i casi che non cadevano più sotto la giurisdizione civile perché prescritti. Solo ora lo studio del fenomeno della pedofilia sta dando i suoi frutti. La pastorale adottata da decenni è da qualche tempo arrivata alla linea della tolleranza zero. Oggi i dossier si accumulano, ma sono piuttosto il segno di una operazione-verità dolorosa ma salutare, che si preoccupa prima di tutto dei più deboli, delle vittime. Certo, i media vanno a nozze con questi fatti; ma, se la maggior parte dei fedeli rimarrà dietro ai suoi pastori, cosa che sta avvenendo, crescerà l’idea e la pratica di una Chiesa meno clericale e con un laicato più fedele e attivo.