Tra scienza e mistero
1900. Nelle acque dell’Egeo al largo dell’isoletta di Anticitera, alcuni pescatori rinvenivano fra i resti di un relitto del I secolo a.C. i frammenti bronzei di un misterioso congegno del quale all’inizio non si riconobbe l’eccezionalità. In realtà quel meccanismo ad ingranaggio era un calcolatore astronomico in grado di prevedere le eclissi e i movimenti dei pianeti per un arco di trent’anni: un oggetto che solo i sofisticati orologi astronomici costruiti circa 1400 anni dopo nell’Europa occidentale avrebbero superato. Una volta tanto, dunque, il mare aveva restituito non tesori d’arte, ma una impensata testimonianza rivelatrice del progresso tecnologico raggiunto dagli antichi greci. Presso i quali, curiosamente, venivano considerati uomini di genio non tanto gli artisti sia pure sommi, annoverati fra gli artigiani, quanto gli ingegneri, i matematici e gli scienziati. Peccato che le loro scoperte e invenzioni, realizzate con mezzi limitati, ebbero applicazioni pratiche piuttosto modeste, anche perché in anticipo sui tempi, per poi venire travolte e dimenticate nel Medioevo. Del resto, negli stessi miti dell’Ellade s’immaginavano, oltre che il volo umano (si pensi a Dedalo e Icaro), tripodi semoventi e giganti di bronzo nei quali è facile prefigurare gli attuali robot ed automi. Dai greci i romani ereditarono le conoscenze di ottica, meccanica, idraulica, medicina, astronomia, geografia, ma non la vocazione speculativa né il genio scientifico. Furono gli arabi a salvare i testi dei grandi scienziati, a incrementare la ricerca, a introdurre numeri e algebra. Indaga questo volto meno noto della cultura ellenistica una mostra – Eureka! -, che prende il titolo dall’esclamazione di Archimede allorquando riuscì a dimostrare una legge fisica: rassegna di personaggi come Euclide, Aristarco di Samo, Pitagora, e di invenzioni relative alla misura del tempo e dello spazio, alla musica, al teatro, alla medicina, alla botanica… Tra le altre, una sezione dedicata alle invenzioni del grande scienziato sira- cusano, e un’altra al Faro di Alessandria, meraviglia visibile a più di 50 chilometri di distanza; nonché riproduzioni e modelli funzionanti di macchine o strumenti che vanno dai planetari alle pompe idrauliche, agli orologi semiautomatici ad acqua. Viene spontaneo, alla fine, chiedersi quale svolta avrebbe avuto la storia della civiltà se invenzioni come quella di Erone, che costruì un primordiale motore a vapore, avessero potuto sviluppare tutte le loro potenzialità con duemila anni di anticipo sui nostri tempi. Neppure gli antichi romani scamparono alla tentazione di una religione del fai da te, per dirla con un’espressione usata da papa Ratzinger a Colonia: non avevano infatti che da scegliere fra i tanti culti misterici che, superata l’iniziale ostilità da parte della élite politica e religiosa, andavano prendendo piede nell’Impero. Rispetto alla religione ufficiale, infatti, tali culti – documentati a partire dal VII sec. a.C. fino alla tarda antichità, entrando talvolta in aspra competizione col cristianesimo – sembravano appagare meglio la ricerca di significato dell’esistenza e il bisogno di salvezza da parte dell’uomo. È questo un fenomeno ricorrente in epoche di grandi crisi. Sia che si tratti degli antichissimi riti orfici o dionisiaci, dei misteri eleusini, delle pratiche oracolari, dei culti agrari della fertilità dedicati a Demetra e Kore, tutti di origine greca, e sia dei più recenti di provenienza orientale relativi a Iside, Mitra, Cibele e Attis, elemento comune è quello iniziatico assieme al segreto che vincolava i partecipanti. La loro fortuna va attribuita anche al fatto che erano tendenzialmente aperti a tutti i ceti sociali, compresi gli schiavi, nonché ad entrambi i sessi (con l’unica eccezione del culto mitraico). Questo argomento di grande fascino e attualità viene ora approfondito per la prima volta ne Il rito segreto, una mostra di forte impatto emotivo, che si avvale degli spazi suggestivi dell’Anfiteatro Flavio. Oltre settanta fra statue, busti, affreschi, vasi greci, rilievi ed idoli provenienti dalle Soprintendenze dell’Italia centrale e meridionale, le opere esposte, tra cui autentici capolavori come la celebre Fanciulla di Anzio. Anche qui viene spontaneo il rimando al nostro presente, un presente nel quale persistono fenomeni etnografici o di carattere folcloristico che in certo modo richiamano antichi riti, quando invece non se ne vedono nascere altri – spesso nell’ambito giovanile -, alcuni di carattere pseudomistico, altri apparentemente senza alcun riferimento col fenomeno religioso, e tuttavia espressione di una ricerca di felicità che è connaturale all’uomo.