Tra note e poesia

Un incontro non casuale con Adriana Del Conte. Tra le ultime cantanti del teatro di rivista fiorentino.
Adriana Del Conte

A quel compleanno tutto mi sarei aspettato fuorché di incontrare un tipo come lei. Ad un certo punto, non ricordo bene come, con passo incerto, quasi a chiedere scusa, Adriana si è portata al centro della stanza e ha cominciato a cantare. Il brusìo, tipico di queste occasioni, si è calmato. A braccetto con la timidezza, Adriana ha tirato fuori una voce potente, chiara, ancora bellissima nonostante gli anni.
“Ma questa chi è?”, mi sono chiesto, ed ero in buona compagnia a farmi questi dubbi, tra un brindisi e l’altro.
Ho conosciuto così Adriana Del Conte, una delle ultime cantanti di varietà. Notissima negli anni Cinquanta e Sessanta per essere stata una delle principali interpreti di Firenze sogna. Lei, fiorentina, dalla nascita  insieme alla famiglia trascorre i periodi di vacanza in una vecchia colonica adagiata sulle colline del Chianti, a pochi passi da quella di chi scrive.
«Fin da bambina ho amato cantare. Mia madre lavorava all’aeronautica, mio padre era uno dei renaioli di Firenze, uno di quei tipici cavatori di rena d’Arno che tiravano su quintali di rena gocciolante. Grazie a mia madre ho partecipato come cantante alle feste dei soldati del dopoguerra. Lì mi ha notato il maestro Cesare Cesarini, allora già affermato musicista, compositore e direttore d’orchestra: da quel momento mi ha portato sempre con sé nelle varie serate che si organizzavano nei teatri di Firenze».

Per quanti anni hai lavorato con il maestro Cesarini?
«Per cinque, sei anni, ed è stato un periodo stupendo: Cesarini si è sempre comportato con me come un padre, tanto che mia madre era tranquilla a lasciarmi andare in giro con lui. Cesarini era persona d’altri tempi: cultore della bellezza e dell’arte, aveva un rispetto profondo per tutti; Cesarini mi ha insegnato cos’è la fatica, ma anche cosa vuol dire esibirsi davanti a un pubblico creando un rapporto con chi ascolta».

Hai fatto anche l’attrice...
«Da ragazzina ho cantato in diverse operette, più tardi sono passata a lavorare in radio ma il teatro non l’ho mai abbandonato perché era il posto dove il rapporto con la gente era il più vero. Sono così diventata la stornellatrice di Firenze, e tutti mi chiamavano a cantare e recitare da una parte e dall’altra».

Cosa ti rimane di quegli anni?
«Mi rimane l’atmosfera bellissima di tempi che definirei genuini, dove si lasciava la porta di casa aperta perché ci si fidava gli uni degli altri. E così quello che vivevamo nella vita di tutti i giorni si trasportava nello spettacolo: certo, abbiamo recitato anche il vernacolo, ma c’era un rispetto per il pubblico e per noi stessi che oggi è difficile trovare. Penso sia quella generosità nel “dare” che all’artista non dovrebbe mancare».

Una carriera promettente che però ha seguito un percorso particolare.
«In quel periodo mi sono sposata. Non volevo scendere a compromessi e ho scelto di dedicarmi alla famiglia. Ho lasciato la radio ma ho continuato a cantare per conto mio in varie occasioni. Ho fatto soprattutto la cantante da sala da ballo, al circolo dei commercianti di Via dè Pucci a Firenze. In tutto ho cantato ancora per 35 anni».

Un marito, due figli e due nipoti…
«Ci siamo sposati con Roberto nella Basilica di San Lorenzo a Firenze il 9 Agosto 1959: un matrimonio felice coronato dalla nascita di Andrea e Caterina».

Cosa vuol dire cantare?
«Cantare mi rende felice perché riesco a esprimere cose che in altri modi non riesco a dire. Cantare è forse più un modo di vivere che mi riempie, mi dà vita e rende la misura della felicità che ho intorno oggi, anche se magari non sono diventata una star internazionale. Darei un consiglio se potessi: fare quello che si sente, ma farlo bene e nel rispetto di sé stessi e degli altri. Non conta solo dove si arriva, ma soprattutto il “come”. E’ un metodo, e io posso solo ringraziare».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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