Tra moglie e marito. . .
“Tra moglie e marito – dice il proverbio – non mettere il dito”. Ma sarà sempre opportuno? Questa massima della cosiddetta saggezza popolare sta ricevendo continue smentite, perché crescono sempre più gli ordinamenti giuridici che prevedono figure legislative nuove di pronto intervento, per arginare la precocità galoppante delle crisi famigliari. Dal 1982 ad oggi in Italia le separazioni si sono raddoppiate ed i divorzi quasi triplicati. Ma quello che preoccupa è il continuo abbassarsi della durata media del matrimonio. Il grido d’allarme arriva dai palazzi di giustizia dove coppie in crisi, sempre più giovani, si presentano con i cocci di un rapporto frantumato anzitempo. Anche per questo in diverse nazioni si stanno sviluppando ricerche anti-crisi, come la pratica della “mediazione famigliare” e del “counselling famigliare”. Ne parliamo con Alberto Friso, sociologo e vicepresidente del Forum delle famiglie, manager della Scuola Loreto a Loppiano. Il mediatore famigliare: chi è? “È una nuova figura professionale chiamata ad intervenire in unasituazione di conflitto famigliare, soprattutto nell’interesse dei bambini. “Il suo intervento è normalmente richiesto in caso di allontanamento profondo tra marito e moglie, con forti coinvolgimenti anche emozionali che ne hanno bloccato la comunicazione. A volte sono già intervenuti psicoterapisti, legali, periti. Il mediatore è chiamato per realizzare un incontro “oltre” il conflitto, nel nome dell’amore che i genitori continuano a nutrire per i loro figli”. È una figura quindi che ha un grande avvenire, purtroppo “Siamo una società che ha sempre maggiore difficoltà a comunicare: avremo sempre più bisogno di mediatori Non tanto nel loro aspetto tecnico di “procedura compositiva” di un conflitto, quanto nell’aspetto di “risorsa umana” e cioè di presenza sensibile di un terzo che, o come prestazione professionale o a titolo gratuito di “mediazione amica”, di fatto aiuti la coppia a ritrovare un tessuto di dialogo, di comprensione reciproca, rivitalizzando (se possibile) quel progetto iniziale che le difficoltà della vita hanno interrotto”. Le istituzioni pubbliche vi hanno riconosciuto? “La Regione Toscana e la Provincia di Firenze, conoscendo la valenza anche culturale e sociale di Loppiano, hanno approvato il progetto riconoscendolo come “corso professionale post-lauream”. Esso comprende 600 ore di lezione relative a materie specifiche quali comunicazione di coppia, educazione famigliare e varie altre. L’approfondimento della spiritualità dell’unità viene considerato “formazione all’intercultura”, mentre il lavoro nelle aziende della città, “supporto” alla stessa. Per l’ammissione è richiesta la laurea in scienze giuridiche, umanistiche o mediche. Sostenuti gli esami pubbli- ci, gli allievi ricevono regolare diploma riconosciuto dalla Comunità europea. Nel 1999 si sono diplomate 10 persone; 14 nel 2002″. Può accennare ai contenuti e all’esperienza dell’ultima edizione? “Il corso appena concluso è stato effettivamente un po’ speciale. Quattro famiglie venivano dal Brasile, due dalla Colombia, le altre da Russia, Cile, Iran, Croazia, Filippine e Italia. Due di esse utilizzavano borse di studio date da enti in cui lavorano. I due coniugi di Mosca, per venire hanno dovuto licenziarsi dalle ditte dove lavoravano: l’interesse per l’esperienza offerta superava la preoccupazione per il rischio economico inevitabile al rientro in patria. Agli esami finali, la commissione composta da rappresentanti di vari organismi pubblici ha espresso gratitudine per i giorni passati con studenti così preparati sulle materie di studio, ma soprattutto con motivazioni così profonde”. In prospettiva, cosa rappresenta per Famiglie Nuove questa iniziativa? “Con questi corsi altamente specializzati confidiamo di poter raggiungere anche le famiglie dove più grande è la difficoltà. Questa esperienza ha almeno tre aspetti importanti: ha una grande carica ideale; è interdisciplinare; è interculturale. Mi sembra che si colgano i prodromi di quella “scienza della famiglia” di cui parla il papa”. A Loppiano, dal 1982 c’è una presenza di famiglie che, in un contesto di grande varietà culturale, cercano di approfondire i valori costitutivi della famiglia e della società. La spiritualità dei Focolari ne costituisce la direttrice fondamentale di ricerca. Dalla nascita ad oggi ha visto la presenza di oltre 1.200 famiglie, provenienti da tutto il mondo. Una volta tornate a casa, queste famiglie possono diventare promotrici di comunità fondate su nuove solidarietà. Dopo alcuni anni, ci si è resi conto che mancava un corso che andasse al cuore delle problematiche famigliari, e si è capito che la cosa migliore era il percorso formativo previsto oggi per il mediatore famigliare. Così nel 1999 è nato il “Corso di mediazione famigliare””. Tesi d’esame. Gli allievi del corso, per ottenere il titolo di “mediatore famigliare”, hanno dovuto sostenere prove di esame orali e scritte, presentando ognuna una piccola tesi su un caso di mediazione famigliare incontrato e affrontato. Ecco alcuni dei casi di crisi presentati. APERTO A CASO IL CORANO Ziba ha 38 anni, è una fervente credente, è nata a Teheran, laureata in filosofia. Conosce Azad a 18 anni e dopo un breve periodo di fidanzamento si sposano. Azad ha 48 anni, pure lui credente, laureato in economia. Lui si sposa con l’abito militare di volontario della rivoluzione islamica dell’Iran, col capo rasato essendo appena tornato dal viaggio santo alla Mecca. Ziba non chiede nulla come dote, tranne il libro sacro del Corano segno della benedizione di Dio sulla loro unione. Affittano una piccola casa, arredata con l’indispensabile, scrivendo sul muro: “Noi crediamo nella semplicità e amiamo vivere per i poveri”. Meditazioni e preghiere fatte insieme, tanto dialogo, rispetto, armonia, amicizia e amore. La loro prima bambina, Fatima, nasce dopo solo un anno dal matrimonio. La seconda, Massuma, dopo tre anni. Nel frattempo lui fa carriera, si specializza, spostandosi con la famiglia in case più grandi e più comode. Anche lei si specializza in filosofia e comincia ad insegnare per passione nel liceo. Arriva la terza bambina, Zahara. Le tre figlie sono tutte serene. All’improvviso vengo a sapere una notizia incredibile: Ziba vuole lasciare Azad. Mi vuole incontrare da sola, scoppia in un pianto interminabile; ha saputo che Azad ha, da circa due anni, un secondo appartamento in città. Mi metto ad ascoltare senza giudicare; Ziba ha fiducia in me e chiede aiuto. Col passare dei giorni la situazione peggiora: lei manda via di casa Azad e si ammala psichicamente. Piange sempre, invoca la morte o per sé o per lui. Le prescrivo la visita di uno psicoterapeuta, la cui cura farmacologica dopo qualche mese comincia a fare effetto. Ziba comincia a ragionare, non chiede più la morte ma il divorzio. Continua ad incontrarmi ed io, con un ascolto pieno, le faccio vedere le conseguenze del divorzio senza forzarla ad una decisione. Le ho dato il nome di un avvocato per un’opinione professionale. Anche Azad ha chiesto un colloquio con me: disperato, dice di non aver mai tradito. Lo ascoltavo senza giudicare e senza contraddirlo. Stava male, era solo, gli mancavano le figlie, la casa e Ziba. Non riusciva più a svolgere il suo lavoro di manager. Gli ho detto solo di cercare di convincere lei di non averla tradita. Dopo alcuni colloqui lei ha cominciato a dubitare, a non essere più tanto sicura, ma la ferita era profonda. La reazione delle figlie: Fatima diceva: “Se ciò che dice la mamma è vero, non voglio più vedere mio padre”. Massuma, reagiva male; chiusa nella sua stanza non voleva più sapere niente e desiderava scappare via. La piccola voleva bene a tutti e due e piangeva per la mancanza del papà. È stato dopo un ennesimo pianto disperato della piccola che Ziba si è messa a ripensare e ha voluto chiedere aiuto al Corano; aprendo una pagina a caso (un’usanza religiosa), ha letto l’invito a perdonare e ricominciare. Ha deciso di riconciliarsi e riportare l’unità nella sua famiglia. Ad un anno di distanza sono ritornati una famiglia serena. In questo caso la mediazione è stata un confronto amichevole avvenuto in privato, vista la loro piena fiducia nel mediatore, che ha riferito loro diritti e conseguenze del divorzio, facendoli incontrare con l’avvocato. Li ha invitati ad essere più sereni e a ricominciare il dialogo senza rabbia e pregiudizi. Shahrzad Houshmand Z. NELLA PELLE DELL’ALTRO In Colombia non esiste una politica sociale per la famiglia: l’iniziativa si basa sul libero sviluppo dell’individuo. Questo modo di fare sta lentamente distruggendo la cellula sociale chiamata “famiglia”; anche per ciò esse sono spinte a difendersi e a cercare da sole il proprio benessere. Nel quartiere di Bogotà, dove abito da circa sei anni, abbiamo formato un’associazione di famiglie con il solo scopo di conoscerci, condividere nostri problemi, promuovere la solidarietà ma soprattutto riaffermare la nostra speranza. Ci troviamo periodicamente, sperimentando anche diversi metodi e dinamiche di gruppo: uno di questi è il role-playing che consiste nel realizzare una scena su situazioni sociali o famigliari. Ogni attore deve interpretare un personaggio (che non è lui stesso) dal suo punto di vista, improvvisando i dialoghi. Se si tratta di una situazione famigliare, si cerca di far fare alla madre il ruolo del padre e viceversa, i figli interpreteranno i genitori e viceversa: in poche parole, bisogna mettersi “nella pelle dell’altro”. Dopo la presentazione della scena, in un’assemblea plenaria ogni attore difende la posizione del suo personaggio e gli altri, valendosi d’esperienze personali, confutano o sostengono le sue tesi generando diverse messe a fuoco di una stessa situazione. Durante uno di questi role- playing, risultò evidente che una delle coppie del gruppo stava attraversando un momento di grave difficoltà con possibilità di separazione: nessuna delle altre famiglie si era resa conto di ciò. Il capofamiglia, Carlos, un ingegnere di 54 anni, da un anno aveva perso il lavoro e non riusciva a trovarne un altro; questa situazione aveva prodotto un cambiamento di carattere in lui. La moglie, Laura, di 48 anni, lavorava in un’impresa privata con uno stipendio modesto, con il quale, da un anno, stava sostenendo la famiglia; si sentiva notevolmente a disagio per le difficoltà esterne ma, soprattutto, per l’atteggiamento del marito. L’unica preoccupazione dei tre figli di 17, 15 e 12 anni era di non poter più mantenere il tenore di vita precedente. Per tutti loro era di vitale importanza che amici e vicini non si rendessero conto della situazione poiché temevano il rifiuto da parte degli altri o, cosa che li disturbava di più, la loro compassione. Dopo che i membri del gruppo vennero a conoscenza di ciò, si impegnarono a collaborare fin dove era immediatamente possibile: il trasporto a scuola dei tre figli, le spese di condominio, la consegna di alimenti. Dal punto di vista del mediatore famigliare, questo momento della famiglia può essere considerato come il primo passo per affrontare una situazione di conflitto; questo è ammettere che esiste un problema ed implica, più o meno consciamente, che si vuole risolvere e perciò si ha bisogno di un aiuto esterno. Grazie alla collaborazione dei vicini sono stati compiuti passi che hanno portato piccole soluzioni e scaricato la pressione che schiacciava questa famiglia. Per il mediatore famigliare è importante che la famiglia in conflitto veda questa situazione non come cattiva o buona, ma solo diversa. Uno dei miti principali che ancora permangono nella nostra cultura è che il conflitto sia comunque negativo, mentre è naturale, cioè non positivo o negativo, semplicemente esiste, ed è un’opportunità per crescere, per cambiare, per imparare. Enrique Josué Saenz O. UNA FAMIGLIA A SCUOLA Umbelina e Fernando Dos Santos vengono dal Brasile. Lui è magistrato, lei psico-pedagogista. Umbelina: “Il nostro primo figlio è nato prematuro ed ha passato dieci giorni nell’incubatrice: ha avuto tre arresti cardiaci , un ricambio parziale del sangue ed un’infezione generalizzata. Un giorno il pediatra ci ha detto che forse non sarebbe sopravvissuto. Siamo andati in chiesa e abbiamo detto a Dio che era figlio suo. Dopo alcuni giorni di sospensione il medico ci disse che non sapeva cosa fosse successo ma che il bambino era fuori pericolo. Due anni dopo è nato il nostro secondo bambino. Quattro anni fa qualcuno lasciò alla porta di casa un pacco avvolto come un regalo: dentro c’era una bambina neonata”. Fernando: “La convivenza con le altre famiglie a Loppiano non è sempre facile. Un giorno c’è stato un contrasto con una di loro: si è rotta l’unità ed abbiamo deciso che dovevamo ristabilirla, senza pensare a chi aveva ragione. Così siamo andati a casa loro per chiedere scusa. Siamo qui anche per provare a costruire una società nuova”.