Tra mercatini, castelli e resti romani
Trento, adagiata nella valle dell'Adige, offre più di una sorpresa. Soprattutto in questa stagione...
Va bene, è senza neve. Va bene, non è l’Alto Adige o Sud Tirolo che dir si voglia – non confondetelo col Trentino, è peccato mortale. Però Trento sotto Natale, tra luminarie e bancarelle, ha comunque il suo fascino di città alpina. Non per nulla, è sempre ai primi posti nelle classifiche di vivibilità stilate dagli enti più disparati: le strade sono ben tenute, non c’è una cartaccia per terra – i cestini ci sono dovunque, non avete scuse –, e i proprietari dei cani raccolgono con diligenza ciò che i loro migliori amici lasciano dietro di sé.
A dire il vero, mi avevano avvertita: vieni pure a Trento, è carina, ma non aspettarti troppa vita. Invece, complici i mercatini di Natale in piazza Fiera, c’è da sgomitarsi. In 68 deliziose casette di legno vengono esposti i prodotti tipici più disparati: un viaggio dei sensi tra le bellezze delle statuine in legno – addobbi per l’albero compresi –, i profumi dei cosmetici naturali e delle candele, e – ovviamente – quelli del cibo e soprattutto delle bevande. Tra speck, salsicce, formaggi e strudel – rigorosamente trentino, senza i pinoli e l’uvetta, a differenza di quello altoatesino –, gli stand più affollati sono quelli del vin brulè e dei parampampoli: una tazzina di caffè, grappa, vino, zucchero, miele e aromi, a cui viene data la fiamma. Si parte dai 24 gradi alcolici circa, e il risultato finale dipende da quanto aspettate prima di spegnerla: indubbiamente riscalda, da provare.
Se avete ancora la forza di non camminare a zig zag, a pochi passi c’è la cattedrale di San Vigilio, più nota come duomo. Sopra la basilica edificata sulla tomba del patrono della città, e la cripta – ancora visitabile – costruita da Altemanno nel XII secolo, il vescovo Federico Vanga decise di riedificare interamente la chiesa, affidando il progetto ad Adamo d’Arogno nel 1212. Se siete fortunati, a condurvi gratuitamente tra affreschi trecenteschi, bassorilievi, monumenti funebri, e decorazioni che si sono sovrapposte lungo i secoli, sarà un volontario dell’associazione Anastasia, che riunisce le guide appassionate di tutta la provincia. Nel nostro caso è un delizioso nonnino, che ci racconta come una fiaba la storia di San Giuliano, affrescata sulla navata sinistra, e quella dei tre martiri ananuensi Sisinnio, Martirio e Alessandro.
Da non perdere è il castello del Buon Consiglio, edificato in più fasi a partire dal XIII secolo. È noto soprattutto per le vicende dell’irredentista Cesare Battisti, qui detenuto, processato e giustiziato dagli austriaci nel 1916, ma più che la sua cella meritano una visita le collezioni di statue e pale lignee provenienti da Trentino, Alto Adige e Germania, e la loggia del Romanino. Il vero gioiellino, però, è la serie di affreschi del Ciclo dei mesi di Torre Aquila, commissionato all’inizio del 1400 dal vescovo Giorgio di Liechtenstein ad un misterioso artista, probabilmente boemo. Peccato che oggi siano rimasti soltanto undici riquadri, essendo il mese di marzo andato perduto durante un incendio: ma sono davvero dei gioiellini per la cura e la ricchezza dei particolari, con tanto di stalattiti di ghiaccio che pendono dal castello nei mesi invernali e battaglia a palle di neve in gennaio – uno svago senza tempo e senza età, a quanto pare.
A fondare Tridentum però, non dimentichiamolo, sono stati i romani: e infatti i resti sotterranei della città sono visitabili in piazza Cesare Battisti. Anche se non alla luce del sole, si può camminare sulle antiche strade romane e sui pavimenti a mosaico delle domus. Chicca finale poi, se chiedete ai custodi, è il filmato in 3D sulla Trento romana: basta infilare gli occhialini, e ci si trova catapultati nella ricostruzione e descrizione di ciò che si è appena visto.
In generale, però, in centro a Trento è bello passeggiare, complici le dimensioni contenute della città. Magari con una sosta alla celebre birreria artigianale Pedavena, o – per i più intrepidi – al bar Picaro ad assaggiare la loro specialità, l’ammazzacammelli: uno shottino di kalhua e stroh 80, al quale il barista appoggia la mano sopra dopo aver appiccato la fiamma. Il vuoto che si crea nel bicchiere fa sì che la mano rimanga attaccata, così si può shakerare, staccare con uno schiocco e porgere all’intrepido avventore, che dovrà bere là dove il barista ha appena appoggiato la mano. Tranquilli: a quella gradazione alcolica lì, i microbi sono di sicuro tutti morti…