Tra medico e malato
L’editore Cortina ha pubblicato recentemente un libro: How to break bad news (Come superare cattive notizie). Vi sono enumerate varie regolette che dovrebbero aiutare i medici a rompere l’inevitabile barriera del primo incontro col malato. La stretta di mano, un cordiale saluto, la conoscenza del cognome del paziente, la posizione seduta di entrambi, la distanza tra l’ammalato ed il medico (30-40 cm), gli occhi di entrambi alla stessa altezza ed altro. Una serie di regole, insomma, che dovrebbe sdrammatizzare un incontro del genere, premessa importante alla formulazione di un’esatta diagnosi ed al soddisfacimento dei bisogni del paziente. Qualche mese fa è stata poi pubblicata un’inchiesta sull’Arch of Internal Medicine da cui si evince che la relazione tra medico e paziente migliora notevolmente se il primo impiega un tempo di circa mezz’ora per la visita. Se escono libri o inchieste sull’argomento, vuol dire che esiste un problema d’incomunicabilità. Uno dei motivi di ciò è rappresentato dall’eccessiva burocratizzazione della medicina contemporanea, volta a mantenere la spesa pubblica per la sanità dentro parametri accettabili. L’uso distorto ed esagerato delle informazioni sulla salute, attraverso i mass-media, mentre ingenera confusione, contemporaneamente non soddisfa l’individuo quando il problema lo riguarda direttamente. Ma soprattutto l’introduzione nella pratica clinica d’utili tecnologie (Tac, ecografie, analisi di laboratorio ecc.) ha ingenerato l’equivoco secondo cui queste sono in grado di sostituire la visita tradizionale. Bisogna ricordare allora che l’ascolto del malato e la sua scrupolosa visita sono in grado cinque volte su dieci di consentire una diagnosi esatta e più completa di qualsiasi indagine radiologica o di laboratorio. E ciò, se è fatto con la dovuta professionalità e partecipazione umana, richiede non meno di mezz’ora. Ben venga allora la cordiale stretta di mano, ma solo se preceduta o seguita da quest’atto che nessuna tecnologia potrà mai sostituire. In conclusione la professione medica richiede il sapere, il saper fare ed il saper essere. Ma su quest’ultimo punto sembra che ci sia da lavorare non poco se è vero, com’è vero, che nei paesi anglosassoni sono stati istituiti corsi post-universitari volti a migliorare il rapporto medico- malato.