Tra lager e gulag
«Il teatro serve a non dimenticare, a resistere al pensiero dominante», Lev Dodin.
«Il teatro serve a non dimenticare, a resistere al pensiero dominante». Parole di Lev Dodin, per sferrare, con Vita e destino, tratto dal fluviale romanzo postumo di Vasilij Grossman, un atto d’accusa ai totalitarismi. Il regista del Maly Teatr di San Pietroburgo è tornato in Italia con un’altra delle sue epopee (fra tutte il grandioso spettacolo Fratelli e sorelle), che mescolano storia pubblica e privata trasportandoci nei lager e nei gulag attraverso la saga di una famiglia di ebrei russi perseguitata prima dai nazisti e poi dallo stalinismo. Un affresco poetico e dolente con, fulcro, la tormentata vicenda del fisico Strum, che alla bomba atomica lega la sua vita e il suo destino.
Acclamato dapprima, poi umiliato, finché “recuperato” dallo stesso Stalin, si trasformerà da scienziato in odor di eresia in lusingatore del regime, ma per salvare i familiari. Attorno a lui si muovono altre vite: di donne, di figli incolpevoli, di reietti nel ghetto, di soldati umiliati nei campi di concentramento. A mettere in relazione questi mondi speculari c’è una rete da pallavolo – gabbia o reticolato – che taglia la scena e gli ambienti; mentre, a legare il racconto, c’è la lettera della madre, prefica della tragedia epocale che vede nel finale i reclusi sfilare suonando una funesta marcia del destino. Un cast di attori magnifici delineano psicologicamente e moralmente un’umanità avvinta a un destino di sconfitta, da dove, nonostante tutto, emergono sentimenti e valori.
Al Romolo Valli di Reggio Emilia