Tra la gente di Cuba
Il mare dei Caraibi! La sabbia fine, di un biancore abbagliante, le palme lambite dalle onde, le acque limpide dall’intenso blu… Sono ormai in partenza dall’Avana dopo 12 giorni trascorsi a Cuba. Ma il mare dei Carabi, sognato, ancora non sono riuscito a vederlo, se non costeggiandolo velocemente in aiuto per andare all’università o dall’alto della città di Santiago. Se lo racconto agli amici non mi crederanno. Fino all’ultimo momento spero in un tuffo. Ed all’ultimo momento… ecco il tuffo! Un tuffo inatteso e diverso da quello sperato: un tuffo tra la gente raccolta nella cattedrale di San Cristòbal dell’Avana. Mi ha tonificato più dell’acqua del mare. È differente, in questa prima mattina di domenica, la piazza acciottolata su cui la cattedrale barocca s’erge maestosa, silenziosa, ondeggiante, le torri asimmetriche, le pietre lucenti. Solitamente la piazza rigurgita di turisti ed echeggia di ritmi cubani. Non sono apparse ancora le donne nere con gli antichi vestiti coloniali, il sigaro in bocca, ostentatamente in mostra per le macchine fotografiche dei turisti e per guadagnare qualche pesos. La piazza, in questa mattina assolata, è attraversata soltanto da cristiani raccolti, che vanno a messa, come ai tempi delle colonie. Cristiani d’antica data come Luis, e cristiani di recente conversione come Angel. Quelli d’antica data Luigi si muove a scatti, con un leggero tic nervoso, ricordo di sofferenze patite per la sua fede cristiana. Mi guarda con occhi piccoli attraverso occhiali dozzinali comprati sulla bancarella, con ancora sulle lenti il bollino che segna la gradazione, e mi racconta della rivoluzione guidata da Fidel Castro. La Chiesa cattolica, come la maggioranza dei cubani, aveva salutato con favore quella vittoria. Ma si era poi vista privata di scuole ed ospedali, nazionalizzati, e decimata nel numero del personale per l’esodo di tanti sacerdoti e religiose, stranieri e non. Da qui il comprensibile, non facile dialogo fra i nuovi dirigenti dello stato e la Chiesa cattolica. Vi furono difficoltà con il lavoro, con l’università, interdizione ai gradi dirigenziali, fino a quando – nel 1991 – la legge decretò la fine di ogni discriminazione: anche un credente può far parte del partito. Lo zoccolo duro dei cattolici cubani è formato da quelli che, nonostante le difficoltà, sono rimasti fedeli. Ma ecco il 21 gennaio 1980, la visita di Giovanni Paolo II. La vita della Chiesa cambiò. Invitando il papa a Cuba, il presidente Castro sapeva chi invitava: un figlio della Polonia cattolica, un papa difensore dei diritti dell’uomo e perciò anche dei diritti della Chiesa. L’invito fu l’occasione per dimostrare che in una società dichiaratamente socialista la religione era rispettata, più ancora apprezzata. Furono cinque giorni di trasparenza – mi racconta uno dei testimoni -: la gente che usciva dalle case senza alcun timore di alzare la bandiera del Papa assieme a quella di Cuba; la radio e la televisione, entrambe statali, che seguivano passo passo, con fedeltà e senza filtri, gli spostamenti, gli atti e le parole del pontefice; la stampa, sia quella nazionale statale che quella internazionale, conquistate da questo medesimo spirito. Il papa, che già portava nel suo corpo i segni della sofferenza, non nascose uno speciale amore e riconoscenza verso Cuba, ma parlò anche con franchezza, fedele alla verità del Vangelo. Risultarono significative le sincere e commoventi parole con le quali il presidente Fidel Castro Ruz lo congedò: Por el honor de su visita, por todas sus expresiones de afecto a los cubanos, por todas sus palabras, aún aquéllas con las cuales pueda estar en desacuerdo, en nombre de todo el pueblo de Cuba, Santidad, le doy las gracias. Non sorprende che il medesimo Comandante Fidel, commentando poi la scomparsa di papa Wojtyla, lo abbia definito un inolvidable amigo, nonché infatigable batallador por la amistad entre los pueblos, enemigo de la guerra y amigo de los pobres. Una generazione nuova Da allora nasce una nuova generazione di cristiani, come Angel. Medico, militante nel partito, ateo convinto, Angel non aveva mai messo piede in una chiesa. In famiglia tutti come lui. Poi la mamma, grazie alla visita di Giovanni Paolo II a Cuba, si converte e inizia a frequentare la chiesa. Un giorno lei gli chiede di accompagnarla in cattedrale dove si proietta il film Gesù di Nazaret di Zeffirelli, un evento per una città come l’Avana. Angel rimane incantato dalla figura di Gesù: Se fosse vero lo seguirei , si dice. Ma sa che è soltanto una bella storia inventata. Un giorno incontra il confessore della mamma. Parlano a lungo dell’esistenza di Dio. Rimanere convinto dalle sue argomentazioni ed arriva la conversione. Una volta battezzato decide di seguire Gesù come avrebbe voluto fare se fosse esistito: ora sa che è esistito ed è vivo! Ed eccolo nella cattedrale. Luis e Angel, cristiani d’antica data e cristiani nuovi, sono uniti insieme nella cattedrale. Cantano con tutta l’anima, accompagnati dal pieno. Chi viene oggi in chiesa per la prima volta?, domanda il prete. S’alzano diverse mani e i nuovi arrivati ricevono il saluto della comunità. C’è un saluto anche per quanti vengono da fuori e un augurio di buon compleanno ad un uomo sessantenne e una donna quarantenne. Ma la sorpresa, almeno per me, è riservata al momento del Padre no- stro. Una decina di giovani, ragazze e ragazzi sui vent’anni, salgono attorno all’altare. Viene loro affidata la Preghiera del Signore che recitano per la prima volta assieme alla comunità, come per la prima volta si scambiano l’abbraccio e il bacio di pace con una gioia che brilla negli occhi. Sono catecumeni. La notte di Pasqua riceveranno il battesimo. Perché?, domando. Perché qui abbiamo trovato la pace, il senso vero della vita. La rivoluzione e il Vangelo È dura la vita cristiana del cubano. La vita qui è dura comunque, per tutti. Come va?, chiedo alla gente che incontro, accogliendo sempre la medesima risposta: È una lotta per la vita. In media si guadagna appena l’equivalente di 12 euro al mese. Non bastano neppure per arrivare a metà mese. Me ne rendo conto passeggiando per Santiago di Cuba con Roli, ingegnere elettronico. In una vetrina, in bella mostra, uno straccio per pulire il pavimento: 20 pesos. Per comprarlo mi occorre il salario di due giorni: guadagno 300 pesos al mese e non mi basterebbero per comprare il paio di scarpe posate lì accanto allo straccio. Il sogno più diffuso è lasciare il Paese e andare all’estero. E il Paese si dissangua delle forze più giovani e creative. I catecumeni della cattedrale di San Cristòbal mi dicono che la via d’uscita più sicura è il Vangelo. Ognuno di noi può essere un rivo che porta nella nostra società l’acqua viva del Vangelo . Sono già tanti i germi di vita nati dalla rivoluzione. Il governo vanta le migliaia di giovani medici cubani in missione nei Paesi più poveri dell’America latina. Migliaia di giovani delle nazioni povere studiano a Cuba. L’ideale castrista di libertà da imperialismo e ingerenze straniere è diventato una bandiera di speranza per tante nazioni del continente. Non a caso in settembre si riuniranno qui all’Avana i capi dei Paesi non allineati. La uguaglianza tra i cittadini sembra una conquista raggiunta, anche se al ribasso: si chiamano tutti compagni; un ambasciatore a Parigi, al termine del suo mandato torna ad essere un semplice impiegato del ministero; uno spazzino guadagna quanto un medico se non più, e tutti e due aspettano per ore, uno accanto all’altro, che passi un mezzo di fortuna che li porti al lavoro… Sono già tanti i germi di vita. A quanti hanno creduto e credono nei valori della rivoluzione si uniscono i giovani catecumeni di San Cristòbal, e i tanti altri, incontrati nel mio soggiorno cubano, che portano altri valori, quelli evangelici, per costruire, insieme, una società più fraterna e libera. Ho capito questa possibile sinergia nell’altra estremità dell’isola, a oriente, in un piccolo villaggio povero di ex minatori del rame, El Cobre, in gran parte abitato dai discendenti degli schiavi portati dall’Africa. Sul paese domina un santuario. Si racconta che tre giovani pescatori, un nero, un bianco, un mulatto, i tre Giovanni, un giorno vennero colti dalla tempesta. Sulle onde ecco apparire una piccola statua: è l’immagine della Vergine che viene loro incontro. La prendono sulla barca e la tempesta si placa. I tre giovani, rappresentanti delle tre diverse razze in costante tensione che vivono nell’isola, erano stati salvati da Maria. Un simbolo profetico dell’unità ritrovata attorno alla Virgen de la Caridad. Qui cadono le distinzioni di razza o di opinioni politiche e ideologiche; anche chi non crede viene comunque a renderle omaggio. È la Madre di tutti i cubani. Non è una cartolina Lascio la cattedrale dell’Avana per raggiungere l’aeroporto. Ripercorro le antiche strade della città vecchia e del centro città che in questi giorni mi hanno visto andare e venire per le lezioni che ho tenuto in vari centri culturali. Guardo ancora una volta i palazzi colorati, retaggio di quattro secoli di gloria e ricchezza, mosaico delle più diverse architetture, fino alle avanguardie del primo novecento. Cinquant’anni d’incuria e di degrado hanno inferto penose ferite, ma non hanno cancellato il fascino di questa città. Sembra di attraversare una città bombardata, ma le macerie non si vedono, tutto è pulito, ordinato. La penuria di alloggi ha portato a dividere orizzontalmente i piani dei palazzi, e a suddividere ulteriormente la stanze trasformando le ville in condomini, ma da fuori non si vede, e tutto appare bello come una volta. Le auto d’epoca dei tempi d’oro di Detroit – enormi Chrysler, Cadillac cromate, Ford che risalgono al 1948 -, danno l’impressione che la storia si sia fermata. Corro verso l’aeroporto e resto ammaliato, come il giorno in cui sono arrivato, da questa città palcoscenico. Ma per me non è più una immagine da cartolina. Mi sono tuffato nella vita della gente, quella che crede che rivi di acqua evangelica possano far rifiorire vita nuova.