Riparte dalla “misura della persona” nell’economia il nuovo libro di Stefano Zamagni. Un distillato delle lezioni magistrali tenute all’Istituto universitario Sophia dal professore riminese ed incentrato sul problema della dignità antropologica dell’homo oeconomicus. Era già da qualche decennio che ne avevano denunciato la scomparsa dalla prassi e dalla teorizzazione economica alcuni grandi nomi dell’economia, tra cui il premio Nobel Amartya Sen ed Elinor Ostrom. Tra gli italiani, appunto, Stefano Zamagni, anche lui teorizzatore di nuovi strumenti concettuali che aiutassero a comprendere i cambiamenti in atto. Sì, perché nel frattempo si è fatta sempre più urgente l'esigenza di definire compiutamente il ruolo dell'azione economica dell’uomo, stretta fra crisi economica e avvento dell’era globalizzata, che ha assurto a beni economici  più importanti quelli comuni, ambientali e relazionali. È stata questa la dimostrazione che l'uomo non può agire solo per soddisfare i suoi bisogni.

Per Zamagni, allora,  sono due le risposte. Una risiede nel Quattrocento: culla dell’economia civile e felice connubio culturale, religioso ed economico, che ha trovato il suo compimento grazie alla dottrina sociale della Chiesa, alla Caritas in Veritate e a L'economia del bene comune (altro titolo di Città Nuova, ndr.).

L'altra è un modello altrettanto valevole e mosso dallo stesso spirito "ecumenico": si  tratta dell’Economia di Comunione, nata nel 1990 da un’intuizione della fondatrice dei focolari, Chiara Lubich. Essa, che pone il dono e il principio della fraternità al centro di un circuito virtuoso fatto di relazione ed azione, non solo può essere modello per la prassi imprenditoriale, ma per una serie di ragioni, tra cui le stesse che muovono il mercato, può acquisire anche valore teorico. Ed è in questi due nuovi modelli che l’uomo trova nello smarrimento di un'era “la sua misura”. Il suo valore e dignità nell'era globalizzata.