Tra i gatti di San Cosimato
In via Morosini 30, traversa di viale Trastevere, a Roma, dove ha sede il Presidio territoriale di prossimità “Nuovo Regina Margherita”, riconversione del complesso ospedaliero di questo nome, ci aspetta una sorpresa. Chi infatti sceglie il vicino ingresso per i veicoli, può notare, inserite fra le moderne costruzioni, antiche mura che fanno pensare ad un convento o a qualcosa del genere. Se poi s’inoltra nella struttura sanitaria lungo un percorso alquanto tortuoso, finisce per trovarsi in un chiostro medievale, che a sua volta comunica con un secondo più grande chiostro, all’apparenza quattrocentesco. Di sorpresa in sorpresa: percorrendo un ambulacro il cui soffitto è sostenuto da vetuste travi di legno, si sbocca in un cortile con piante e aiuole sul quale prospetta una chiesa; in fondo, un grande portale è l’accesso originario di questo che fu convento benedettino poi passato alle clarisse, intitolato a san Cosimato.
Invano si cercherebbe un santo di questo nome. Esso è in realtà una corruzione di Cosma e Damiano, i due fratelli medici che non avranno disapprovato, penso, la trasformazione dell’edificio religioso di cui erano titolari in una struttura sanitaria. La sua facciata principale ha l’ingresso preceduto da un portichetto con cuspide costruito nel XII secolo con materiale di reimpiego. Di qui si accede al cortile già accennato, ombreggiato da piante e ornato da una fontana barocca che riutilizza una vasca di granito proveniente da qualche antico edificio termale (segnalo qui una panchina favolosa per letture e meditazioni all’ombra con sottofondo di sgocciolio).
Chiude un lato breve dello stesso cortile la chiesa conventuale, la cui semplice, ma elegante facciata di mattoni e pietra risale alla ristrutturazione di tutto il monastero voluta da papa Sisto della Rovere in occasione del giubileo del 1475, come è iscritto nell’architrave del portale finemente scolpito. L’interno, a navata unica, fu rimaneggiato nel 1871 dopo i danni provocati dal bombardamento di Oudinot contro la Repubblica Romana del 1849, danni che comportarono la perdita degli affreschi del Pinturicchio; della fase quattrocentesca conserva nel presbiterio solo un affresco di Antonio del Massaro, detto “il Pastura”: Madonna con il Bambino tra i santi Francesco e Chiara.
Aperta al pubblico solo la domenica mattina per la celebrazione liturgica delle ore 11, la chiesa conserva anche un altare del Seicento con le reliquie della martire santa Severa ed è dotata di un campaniletto romanico, non visibile però dal cortile.
Sulla destra di quest’ultimo, un corridoio con resti di affreschi conduce al chiostro del 1240 dalle colonnine sbilenche, in origine a due piani: le arcate del superiore furono tamponate nel rifacimento quattrocentesco, a cui si deve anche la sala capitolare, oggi adibita ad altro come tutto il resto. Il secondo e maggiore chiostro risale anch’esso al Quattrocento e presenta eleganti pilastri di peperino; al centro del giardino, tra una magnifica magnolia, un cedro, due altissime palme del genere washingtonia ed altre piante, spicca un grande pozzo marmoreo protetto da una grata. Nel 1891 il convento fu requisito dal comune che ne fece un ospizio, trasferendo altrove le suore, e dal 1960 venne inglobato nell’ospedale attuale.
Questo complesso al centro Trastevere, per quanto in condizioni precarie e reclamante urgenti restauri, offre un’oasi di pace e di tranquillità quasi unicamente ai pochi anziani non autosufficienti ospiti della residenza sanitaria assistita (uno dei servizi offerti da questa struttura ospedaliera). Dimenticavo… le aiuole lasciate allo stato selvaggio e gli ambulacri polverosi dei chiostri, tra antiche lapidi tombali e frammenti scultorei risalenti alle varie epoche del convento, sono il regno di famelici gatti, meno fortunati dei più floridi colleghi di Largo di Torre Argentina, che appena ti adocchiano si avvicinano speranzosi.