Tra cristiani e musulmani un patto di misericordia
«Dopo un attentato – come al Bataclan a Parigi, o a Bruxelles – il primo che chiamo è l’imam, perché il primo ad essere colpito è lui». Ad affermarlo è Giusy Brogna, italiana, di Catania, vissuta 12 anni in Egitto ed attualmente coordinatrice della Rete di dialogo tra cristiani e musulmani del Movimento dei Focolari in Italia. Ad ascoltarla, al tavolo dei relatori, nel corso di un incontro a Fondi, in provincia di Latina, ci sono l’imam El Khazraji, di al-Azhar, la maggiore università islamica a Il Cairo, in Italia per il Ramadan – il mese dedicato nell’Islam al digiuno e alla preghiera –; l’imam di Fondi Othman Naser – promotore dell’iniziativa insieme al Movimento dei Focolari – e il presidente del CAIL, Coordinamento associazioni islamiche del Lazio, Yusef D’Amico.
I loro interventi precedono l’iftar, il pasto serale che interrompe il digiuno, un pasto collettivo in segno di fratellanza e amicizia tra musulmani e cristiani. Sono presenti tunisini, marocchini, libici, pakistani, ma anche italiani ed egiziani, lontani dalle polemiche legate al caso Regeni, o dalla scelta del Senato italiano di bloccare la fornitura dei pezzi di ricambio per gli F16 in dotazione al Paese nordafricano.
Un minuto di raccoglimento per le vittime di Dacca e di tutti gli attentati unisce i fedeli delle due religioni, mostrando, come è stato sottolineato dall’amministrazione comunale di Fondi, «una comunità musulmana ben integrata e che crede nei valori della misericordia». Proprio il CAIL ha diffuso, nei giorni scorsi, un comunicato stampa in cui «esprime sgomento per gli attentati terroristici che si sono susseguiti nel mondo durante il mese di Ramadan» e spiega come «il periodo stesso in cui questi atti ignobili sono stati compiuti, “in nome” dell’Islam, palesa l’abisso che c’è tra le persone religiose e questi feroci assassini, che non seguono alcun precetto religioso». E auspica «un serio impegno internazionale per mettere fine, dopo due anni, al ciclo di barbarie compiute, ispirate, e rivendicate dall’ISIS».
A sorpresa, tra le pergamene consegnate prima del Salat al-Maghrib, una delle preghiere obbligatorie islamiche, c’è quella dedicata a Chiara Lubich, ispiratrice del cammino di dialogo che rende possibili momenti come questo. «C’è bisogno di dare testimonianza di fraternità, ma ci vuole impegno, bisogna metterci la faccia, metterci il cuore», commenta ancora Giusy Brogna. E coraggiosamente, ricordando la sua esperienza degli ultimi quattro anni con la comunità islamica di Catania, dove l’amicizia tra musulmani e cristiani si comincia a vedere e ad avere un impatto sociale – con doposcuola in moschea, donazioni di sangue, accoglienza insieme dei profughi siriani –, propone di stringere tra tutti i presenti un patto di misericordia: abbattere i pregiudizi, avere un occhio semplice e vedere sempre, nell’altro, un fratello.
Condivide questa idea anche Othman Naser, imam di Fondi, originario della Libia, da 43 anni in Italia: «Bisogna partire da un principio: che noi siamo fratelli. Cosa può desiderare un fratello per il suo fratello? Che sia nelle migliori condizioni, che sia istruito, che non soffra, che non sia affamato. Questa è la base. Continuando su questa retta via, allora sì che si realizza qualcosa di utile per la società».
Gli chiediamo quale sia, secondo lui, il senso della misericordia, immersi in questo clima di odio così profondo, sotto la minaccia del terrorismo: «Il nostro io è inquinato – risponde –. Bisogna tornare al Creatore, liberarci dall’odio, dall’edonismo, siamo diretti solo dal nostro io. Questo egoismo non dà spazio alla misericordia. Per la maggioranza delle persone è una parola vuota di significato, anzi forse si fanno una risata solo a sentirla pronunciare. Solo ritornando agli insegnamenti del Creatore possiamo fare spazio alla misericordia».