Tra commedie e drammi
Albert Nobbs Grande prova per Glenn Glose nel dar corpo e anima alla donna irlandese, ai primi del ‘900, che per poter lavorare si traveste da uomo, diventando un inappuntabile cameriere, Albert. Omino perfetto, servizievole, riservato lavora nel grande albergo, in un mondo femminile a contatto con i ricchi clienti. Smanie, superficialità, la bella cameriera che resta incinta da uno scavezzacollo che l’abbandona. E lei-lui, Albert, che sogna anche l’amore. Impossibile, purtroppo. Ambientazione perfetta, costumi d’epoca, fotografia splendente di interni ed esterni, primi piani intensi della Glose costruiscono un racconto dove non si descrive, ma si vive. Le vibrazioni psicologiche di Albert, infatti si rispecchiano nei gesti, negli sguardi, nelle poche parole. L’ambiente sociale fatto di forti diseguaglianze, la crudeltà sopra le vittime, non viene dimenticata, ma traspare dai dialoghi, dai personaggi e soprattutto da Albert, vittima sacrificale di una società che nega di fatto la vita a chi ne avrebbe diritto. Tutto ciò il film lo dice con sottintesi, allusioni, e col volto stupito, incantato e fragile di Glenn Glose.
Com’è bello far l’amore L’Italia offre la nuova opera di Fausto Brizzi, in uscita con 600 copie. Ennesima commedia, questa volta “per famiglie” strizza furbescamente l’occhiolino ad una certa trasgressività – l’argomento è il sesso, con annessi e connessi – ,ma punta poi al buonismo finale con Andrea (Fabio De Luigi) e Giulia (Claudia Gerini), che dopo esser stati sul punto di lasciarsi, grazie all’intrigante pornostar Max (Filippo Timi) ritrovano la voglia di stare insieme, con buona pace anche dell’adolescente figlio Simone (Alessandro Sperduti), alle prese coi primi turbamenti amorosi. Il film certo ha ritmo, gli attori sono bravi (specie De Luigi con la sua aria candida, mentre Timi è sopra le righe e la Gerini sembra talora non creder troppo al suo personaggio), gli ammiccamenti alla realtà verisimili (ma fino a che punto?), con occhiate furbette al linguaggio dei teenagers e nostalgie per la coppia bene unita. Brizzi insomma vuol raccontare l’interno della famiglia italiana d’oggi, dove il problema dei problemi sembra essere l’efficienza sessuale. Se quella funziona, le coppie stanno insieme. Forse è un po’ semplicistico e riduttivo, così che i l film finisce per diventare il solito prodotto italiano, con scarse novità. Purtroppo.
40 carati Per chi ama i polizieschi di genere, con l’avventura mozzafiato di un ex poliziotto innocente (Sam Worthington, quello di Avatar) che per dimostrare la sua non colpevolezza in un sordido affaire di gioielli si situa sui piani alti di un grattacielo newyorchese, minacciando di buttarsi, il film diretto da Asger Leth, calza a pennello. Non è un gran film, d’accordo, ma la suspense è quella giusta, gli attori credibili (anche la poliziotta psicologa Elizabeth Banks, fatalmente innamorata di lui, alla fine), il cattivo riccone di turno finisce in manette, e la gente che dal basso osserva lo spettacolo sembra il pubblico che in sala aspetta di vedere se il poliziotto si butta o no.
Del resto, il poliziotto è furbo (non ottuso, come molti poliziotti del cinema made in Usa): mentre la psicologa gli parla per convincerlo a non buttarsi, i suoi amici fanno l’altro gioco riuscendo ad incastrare il riccone. Come? Non lo diciamo. Basta guardare il film e trascorrere un’ora e mezzo tranquilla.
La verità nascosta Un thriller musicale, perché il protagonista è un giovane direttore d’orchestra (Quim Gutièrrez) a Bogotà, felicemente unito a Belèn (Clara Lago). La donna, gelosa, escogita uno stratagemma per vedere se lui la ama o la tradisce, finendo per rimanere intrappolata nello scantinato della sua misteriosa casa. Così che lui, Adrian, la crede scomparsa e si consola con un’altra. Ma poi i giochi cambiano, sino al finale a dire il vero sconsolato. Il film vorrebbe esplorare i limiti dell’amore, della gelosia e del tradimento. Ambizioso, ma con situazioni già viste, anche se tiene sospesi sino alla conclusione. E questo è un merito. Regia corretta di Andi Baiz.