Tpp, l’accordo che abbatte le barriere e riduce la sovranità nazionale
Una Europa nel Pacifico? Non è certo questo l’obiettivo del trattato di libero scambio tra Usa ed Asia-Pacifico, anche perché le nazioni interessate ad esso, Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam (già pronte all’adesione Corea del Sud, Taiwan e Filippine e Colombia), non hanno la stessa comune eredità culturale delle nazioni europee; ma sotto il profilo economico il progetto proposto da Obama per la ratifica del Congresso Usa assomiglia molto alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.
L’approccio è lo stesso: una serie di nazioni che si accordano di eliminare tra di loro le barriere doganali, sottoponendosi a delle regole comuni: non si impongono così le proprie regole, ma si inducono altri stati ad adottarle a fronte dei vantaggi di un maggiore sviluppo economico.
Una comunità nel Pacifico non si prevede legata a una moneta comune, ma dall’impegno ad evitare svalutazioni competitive che mettano in difficoltà le esportazioni altrui; una comunità soggetta anche a molte altre regole, alcune molto positive, altre a mio parere molto meno.
Le prime sono quelle che impegnano i paesi aderenti ad adottare legislazioni che obblighino a produzioni economiche rispettose dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori; regole che sembrano dettate da una lodevole attenzione al bene comune, ma che servono anche ad evitare concorrenze scorrette legate a costi di produzione troppo diversi per colpa del lavoro non tutelato e del mancato rispetto dell’ambiente.
Impegni più problematici sono invece quelli che assoggettano ad arbitrato internazionale le leggi degli stati aderenti che penalizzerebbero le attività economiche degli altri stati della comunità: dato che a questa comunità parteciperanno anche gli Stati Uniti, con tutta la loro potenza economica, finanziaria e legale, questi impegni ricordano, certamente in un modo meno cruento, ma ugualmente impositivo, le cannoniere Usa del primo novecento, ferme davanti ai porti di stati del centro America, poco rispettosi degli interessi delle sue aziende.
Anche negli USA non tutti sono d’accordo sul trattato, né Donald Trump né Hillary Clinton, pur essendo collega di partito di Obama; proprio suo marito Bill venti anni fa, nei primi anni della esplosione del commercio internazionale, aveva lanciato la comunità economica con Canada e Messico, il Nafta; ma adesso i tempi sono cambiati, oggi non è più il commercio internazionale, ma sono i mercati interni a trainare l’economia e negli stati con maggiore rispetto del lavoro e dell’ambiente si teme che l'eliminazione delle barriere doganali finisca per ridurre anche i posti di lavoro.