È tornato Vittorio De Sica
Non c’è nulla da fare. Christian, eroe dei cinepanettoni nazional-popolari, una vocazione al teatro di varietà, l’ombra del padre ce l’ha sempre presente. Il padre è Vittorio, il grande maestro del cinema, nel privato donnaiolo e inguaribile giocatore alla roulette. Uno che si godeva la vita attimo per attimo e che consigliava al figlio di fare altrettanto. Il fantasma del padre – un padre ingombrante – ritorna nel film Sono solo fantasmi, diretto da Christian e interpretato da lui, Carlo Buccirosso e Gian Marco Tognazzi. Tre fratelli falliti: Christian fa il mago cacciato dalla tivù e senza soldi, Carlo ha sposato una milanese altissima con un padre milionario che lo tratta malissimo, Gian Marco non sta tanto bene con la testa, ma sa molto di fantasmi. Eh già, siamo a Napoli, una Napoli una volta tanto non buia e camorrista, ma bella di giorno e di notte, attraversata da magie, superstizioni e dai fantasmi che perseguitano i ristoratori, e la donna che abita nell’appartamento sotto a quello del palazzo paterno dove ora stanno i tre, ma che sta per essere venduto. E ci vogliono molti soldi per riscattarlo. I tre si fingono scacciafantasmi e fanno denari, ma le cose non vanno tutte per il verso giusto e si trovano a piedi. Arriverà il loro padre-fantasma a dargli una mano, il padre scialacquatore che ha le fattezze del grande Vittorio?
Naturalmente, siamo nella miscela di commedia e horror. Il clichè è quello all’italiana, consueto, un po’ sfilacciato e inconcludente, ma strappa alcune risate di gusto, specie la performance di Buccirosso, il napoletano che fa il milanese. E la miscela in parte funziona perché ha ritmo e alle facce degli zombi dell’orrore fanno da contrappeso quelle dei napoletani vivaci, generosi e superstiziosi. Ovvio, Christian è sempre Christian e dovrebbe risolversi a recitare, a 68 anni, in parti drammatiche: sarebbe bravissimo. Lo si è visto nel film di Pupi Avati Il figlio più piccolo. Qualche scampolo lo lascia intravvedere anche qui, quando si sente solo e disperato. Poi, la favola ha il sopravvento. Perché di fiaba si tratta. Sorniona, allegra, qualche brivido e nulla più. Nulla? Una tenera malinconia si alza qua e là, la nostalgia del padre perso a 23 anni ritorna e, pur tra gli scherzi, le facezie di buono e di mediocre gusto, essa rischia di diventare – lo voglia o meno Christian – la protagonista di un film che vuole divertire certo (in parte ci riesce) e forse dire qualche altra cosa. Con il passare degli anni si scherza, e un po’ sotto sotto si sospira, sugli affetti incompiuti. Lo dice anche la maschera di Gian Marco Tognazzi. I figli d’arte faticano a non lasciarsi mangiare dall’ombra dei padri, eppure ne sentono una inguaribile nostalgia. Anzi, la presenza. Sono solo fantasmi? Chissà. Intanto, si sorride sul passato, perché i figli “sono u’ pezzo ‘e core”, come si dice a Napoli.