Tornare nel deserto

Il diciotto aprile 1948 la storia italiana ebbe uno scarto profondo, che divenne un processo che cambiò il cuore dei cristiani. Si imparò che solo attraverso il potere la fede si sarebbe espansa, dunque legando fede, denaro e Parlamento

Alcuni cristiani, come Dossetti, La Pira, Aldo Moro, consegnarono nella Costituzione parole che rappresentano la nuova cultura della persona, del lavoro, della pace. A distanza di settanta anni, in un passaggio altrettanto delicato per il suo futuro, l’Italia è chiamata a costruire una nuova convivenza, all’interno dell’Europa dei diritti e dello sviluppo dell’intera comunità del Mediterraneo.

Siamo chiamati ad abbandonare vecchie bisacce, sempre più appesantite dalla nostalgie del passato e siamo protesi verso un futuro, che ci viene incontro e di cui cogliamo più le potenzialità che la rigidità di un passato, che ci vorrebbe consolare senza misericordia.

È tempo di discernimento, per costruire nuovi processi piuttosto che difendere progetti, che ci portano costantemente a guardare all’indietro.

Forse è venuto il tempo di tornare nel deserto, per ascoltare il Vangelo e i poveri, i due segni della presenza di Dio, che generano la Chiesa nella storia. È nel deserto che Dio parla, consegnandoci la sua Parola e al tempo stesso è lì che incontra i poveri, con le loro ferite, con le violenze subite, con le piaghe della storia.

Non ci sono scorciatoie  a questo passaggio. Il tempo della purificazione ha il volto della preghiera, della Parola, della povertà, che cambia i cuori e trasforma le menti. È un passaggio doloroso e fecondo, se vissuto in piena obbedienza all’oggi di Dio, che ci viene incontro con le sue sorprese.

Papa Francesco parla degli scartati, indica coloro che hanno fame, che hanno sete, che sono pellegrini, coloro che sono nudi, che sono in carcere.

Sono i piagati dalla storia, i fratelli di Lazzaro, dell’uomo battuto sulla strada, che riceve la misericordia di Dio, su cui Dio si piega e si prende cura.

In questo contesto quattro parole ci vengono incontro: perdono, misericordia, accoglienza e pace. Sono l’alfabeto di Dio, che si fa parola nella nostra vita e nella vita dei popoli e dei continenti.

Corrono in questi giorni la memoria del sequestro di Aldo Moro e della sua uccisione ad opera delle Brigate rosse. Il Paese ha bisogno di essere perdonato e di perdonare e questo non può avvenire a basso prezzo, ma ha il caro prezzo di una vita donata. Aldo Moro ci ha spiegato la parola del perdono e lo ha fatto consegnandosi ad una violenza estrema e senza limiti.

In questi anni la retorica lapiriana è cresciuta, ma le attese della povera gente sono rimaste in tutta la loro forza: si attende il lavoro per i giovani, per i disabili, che nel deserto delle città sperimentano la lontananza di chi non è in grado di ascoltare, di chi non vuole ascoltare, di chi cerca le vie brevi delle clientele e dei piccoli interessi e non i grandi disegni, che siano in grado di ridare dignità al nostro territorio.

Abbiamo rifiutato l’accoglienza in nome dell’odio, che cancella il volto umano delle nostre città, dove la paura si sostituisce alla speranza e nella paura investiamo il nostro cuore fragile e incerto.

Con l’odio vinciamo le elezioni, ma perdiamo l’anima, soprattutto rifiutiamo la pace, che oggi appare come la sfida più grande della nostra umanità. Dossetti ha consegnato la parola della pace al cuore stesso della Costituzione. Non c’è Costituzione senza la pace.

La guerra e il suo idolo producono il deserto del mondo, in tanti luoghi e città, dal Medio Oriente, al cuore dell’Africa, alla grande Asia. Producono le grandi migrazioni, che generano la paura e anticipano il conflitto. La pace è il nome stesso di Dio, è il suo volto ferito e piagato, che si rende visibile nel volto delle vittime.

Il deserto diventa il luogo dove ascoltare la Parola e incontrare i feriti. Questo incontro sarà fecondo se sarà disarmato, senza ricchezza e senza potenza, ma da disarmati, come devono essere i figli della pace, coloro che imparano a stare nella storia come agnelli in mezzo ai lupi.

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