Tornare a Genovesi per capire le origini della crisi e uscirne

L’editoriale di Luigino Bruni, “Genovesi. La rivincita dell’abate contro  Adam Smith", pubblicato sul quotidiano Avvenire agli inizi di gennaio spiega l'attualità dell’anno genovesiano e di una teoria che punta alla felicità pubblica, alla tutela di persona e ambiente, includendo lavoro e servizi
Crisi

Il 2013 è il trecentesimo anniversario della nascita dell’economista e filosofo Antonio Genovesi, nato a Castiglione (Salerno) il 1 novembre del 1713. Un autore che ha cose molto importanti da dire all’Italia di oggi, e di domani. Genovesi è uno dei fondatori della moderna scienza economica. Il primo cattedratico di economia nella storia, a Napoli nel 1754. Le sue Lezioni di commercio ossia di economia civile (1765) furono molto influenti in Italia, conosciute e tradotte in Europa e oltre. Genovesi visse e operò nella stessa epoca di Adam Smith, il filosofo scozzese al quale normalmente si riconosce la paternità dell’economia moderna. I due si assomigliavano molto. Entrambi furono prima filosofi e poi economisti, entrambi moderni e quindi critici del mondo feudale, e convinti che il mercato avrebbe contribuito decisamente alla costruzione di un mondo più egualitario e libero.

Eppure l’Economia Civile di Genovesi non è soltanto la versione meridiana e povera della Political Economy d’oltremanica. L’ Economia Civile ha tratti di originalità, e su più fronti. Innanzitutto diverso era il contesto culturale. Smith opera in una cultura calvinista (insegnava ai futuri leader della chiesa scozzese), Genovesi era abate, e nella Napoli illuminista e borbonica. Smith è profondamente legato alla scuola filosofica, Genovesi era un erede dell’umanesimo classico di Aristotele e di san Tommaso, e di Vico, ma anche di autori moderni francesi (Cartesio) e inglesi (Locke). Queste differenze culturali si tradussero anche in una diversa economia.

Per Smith il protagonista del nuovo mondo è l’individuo, magari virtuoso, prudente e guidato da un interesse illuminato (self ­interest).  Smith, e dopo di lui l’economia come oggi la conosciamo in tutto il mondo, nell’immaginare le azioni economiche partiva da una idea di uomo parsimoniosa, capace di guardare e cercare i propri interessi. Il bene comune, la ricchezza e il benessere delle nazioni per Smith non è mestiere dei singoli individui, i quali è bene che non pensino al bene comune quando agiscono nei mercati: «Non ho mai visto fare niente di buono da chi si prefiggeva di operare per il bene comune» (1776). Parole realistiche, ma certamente pessimiste e un po’ ciniche, che affidano ogni istanza di bene comune alla 'mano invisibile' e impersonale dei mercati, e uno po’ alla mano visibile del Governo. Genovesi non ha una visione ingenua dell’essere umano.

Era un esperto, non meno di Smith, di sentimenti e di passioni umane (vi aveva anche dedicato un trattato, la Diceosina, nel 1766, che è uno dei primi libri dove si parla di diritti fondamentali dell’uomo, con importanti riferimenti anche agli animali), ma era newtonianamente convinto che la persona fosse un equilibrio di due tipi di forze, quelle 'concentrive' (auto­interessate) e quelle 'diffusive' (pro­sociali), entrambe primitive e sempre presenti. Per Genovesi il soggetto è dunque persona, una realtà costitutivamente relazionale, fatta per reciprocità. Da qui la sua idea di mercato come 'mutua assistenza', una intuizione originale che oggi sta vivendo una nuova giovinezza, e non solo in Italia.  Il messaggio di Genovesi è più attuale oggi che nel Settecento, quando prevalse l’Economia Politica di Smith, e si eclissò l’Economia civile di Genovesi. Sono, infatti, molte, e tutte rilevanti, le parole che l’economista napoletano ci invia per l’oggi dell’Italia.

La prima è pubblica felicità: mai come in questi tempi ci stiamo accorgendo che la felicità o è pubblica o non è, poiché la ricchezza cercata contro gli altri produce malessere per tutti.

La seconda è contenuta nella stessa espressione Economia civile: l’economia se non è civile è semplicemente incivile, mai eticamente neutrale, perché attività umana. Se l’impresa crea posti di lavoro, rispetta l’ambiente, lavoratori, società, migliora beni e servizi, è civile; se non lo fa è incivile, non c’è terza possibilità.

Infine,il terzo messaggio ha a che fare con l’Italia, e con il suo modello economico e sociale. Genovesi è una delle più belle espressioni della tradizione italiana e meridiana, che ci ricorda che esiste una nostra eccellenza che non nasce dall’imitazione di altri modelli e umanesimi nordici o americani, ma dal mettere in moto, e a reddito, il genio italiano frutto di secoli di meticciato, di incroci e incontri tra popoli, culture, campanili, frati, monache, artisti, mercanti, mari, valli e montagne. Gli eredi migliori di Genovesi sono il mondo della cooperazione, i distretti del "made in Italy", la finanza etica, il turismo sostenibile e la buona agricoltura, e tutte quelle esperienze civili capaci di mettere a sistema e a reddito relazioni, gratuità, storia, di generare valore dai valori. Il 2013 è un anno cruciale per l’Italia, e per l’Europa. L’anniversario di Genovesi, e i suoi messaggi di Economia civile, non potevano arrivare in un momento migliore. Saremo capaci di farli fruttare?

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