Torna la voglia di orto
Per tanto tempo me ne sono tenuto debitamente alla larga. Poi ho ceduto anch’io. Ho tracciato il solco con l’entusiasta collaborazione di almeno una parte della famiglia, cane incluso. Ho preso la vanga dal ripostiglio degli attrezzi, un po’ arrugginita, e l’ho affondata nella terra. È iniziata così l’esperienza “orto” anche per me.
Abbiamo seminato in vasi, piantato le esili pianticelle nel terreno, abbiamo seguito la loro crescita come fossero bambini: le abbiamo protette dal freddo, bagnate, pulite dalle erbacce, legate per farle sviluppare in alto. Certamente non siamo dei contadini, abbiamo un atteggiamento inevitabilmente un po’ troppo entusiastico e sentimentale alla materia, come capita ai dilettanti. Ma per chi come me ha la fortuna di vivere in campagna ed avere un pezzo di terra accanto alla casa, è proprio bello vedere che quello che si pianta cresce (e, speriamo, si possa poi anche mangiare).
Un po’ sarà per la crisi, un po’ sarà perché ora è moda, ma molte persone in questi ultimi tempi si sono riavvicinate al giardinaggio. Su Internet c’è un pullulare di siti e blog sull’argomento. Non è più cosa riservata agli addetti ai lavori o ai pensionati. Del resto, il sapore d’un pomodoro che viene dal proprio orto, servito con un po’ di basilico nato dallo stesso terreno, non ha uguali.
Nell’orto alcuni si rilassano più facilmente – ed economicamente – che nel partecipare a corsi di ginnastiche strane o tecniche orientali. Fra il verde del prezzemolo e dei fagiolini, il violaceo delle melanzane, il giallo dei peperoni e il rosso dei pomodori, immersi nei loro profumi caserecci, alcuni s’accorgono che cancellano la nozione del tempo e si concedono beatamente alla fatica sudando sotto il sole.
Per molti di noi poi l’orto evoca ricordi di tempi non troppo lontani, ma che hanno già sapore d’antichità. Lavorando da sprovveduto alle mie nuove piantine, mi tornavano alla mente scene d’infanzia, quando seguivo mio nonno nell’orto.
Lui sì che ci sapeva fare, ma era nato contadino: mai sembrava smettere di lavorare e mai sembrava affaticarsi, seguiva un ritmo interiore che batteva all’unisono con quello della terra. Lo aiutavo a raccogliere le patate che ai colpi di zappa sbucavano fuori come miracoli dalla notte della terra, lo aiutavo a tirar su l’acqua dal pozzo con il secchiello appeso alla carrucola cigolante.
E, quando era il momento del riposo, ci stendevamo sotto le palme per ripararci dalla calura: lui fumava lentamente la sigaretta arrotolata di trinciato forte, e parlava. Io l’ascoltavo e guardavo gl’insetti che si muovevano nell’aria silenziosa.
Nell’orto entriamo in contatto con una parte di noi stessi. La Bibbia racconta che discendiamo da Adamo. Quel racconto non va preso in modo letterale, ma contiene infinita sapienza.
La parola ebraica adam ha stessa radice di adamà, che significa “terra”. Adam che è venuto a significare uomo (umanità) si potrebbe tradurre pure come “della terra rossa” oppure “terroso”. Che sia questo legame ancestrale che scopriamo inconsapevolmente mentre zappiamo nel nostro orticello?