Torino, il principio di fraternità entra nello statuto cittadino

Anche Torino, dopo Asti, Bra e poche altre città italiane, ha inserito con voto unanime dell’intero Consiglio comunale il principio di fraternità nel proprio statuto: ad esso dovrà fare riferimento chi siederà sugli scranni di Palazzo Civico
Palazzo di Città a Torino foto di Franco56

Uscendo a sera da Palazzo Civico si è accolti da un timido cielo azzurro che cerca di farsi spazio tra le nuvole. Basterebbe questa immagine a raccontare quanto vissuto nei giorni scorsi nella sala consiliare.

Il Consiglio Comunale di Torino, infatti, si impegna a «promuovere il valore della fraternità quale condizione dell’agire politico, nella condivisa consapevolezza che la diversità è una ricchezza e che ogni persona eletta in Consiglio comunale è soggetto a cui riconoscere pari dignità e rispetto ed è quindi chiamata ad anteporre il bene della propria comunità agli interessi di parte, sia personali, che di gruppo e di partito».

 

Questo il testo del comma che è stato votato all’unanimità dai 30 consiglieri presenti, delle diverse parti politiche, nel corso di un Consiglio comunale che non prometteva certo un tale esito.

 

La cronaca dalla “Sala rossa” racconta di un clima a dir poco infuocato, come spesso è normale in tanti contesti istituzionali, con posizioni di muro contro muro su punti in discussione che dopo ore e ore sembrano non trovare uno sbocco condiviso.

 

Il fatto poi che la votazione fosse collocata a ridosso della fine del mandato amministrativo del sindaco Piero Fassino poteva farla diventare, paradossalmente, terreno di contesa, fagocitandola nel grosso tritacarne di una campagna elettorale ormai alle porte.

 

A un certo momento qualcuno dai banchi dell’opposizione propone di prendere una pausa, avanzando una proposta che ridona senso alla votazione che si sta per compiere: «Perché non passiamo subito a votare sulla fraternità, visto che su quello siamo tutti d’accordo?». Uno squarcio di cielo che timidamente si fa strada in un pomeriggio decisamente grigio, con la fraternità che diventa “la scusa” per interrompere la contesa.

 

Così Torino, sindaco in testa (anche se assente in quel momento per altri impegni), sceglie di inserire nella propria Carta fondamentale quello che fra i tre principi della modernità (insieme a libertà e uguaglianza) è stato definito “il principio dimenticato”. Quel principio che, se riscoperto e praticato, potrà dare forza a un agire politico mirato a rispettare e valorizzare le diversità e a mettere innanzi a tutto il bene comune.

 

L’inserimento della fraternità nello Statuto non era semplice né scontato. Questo traguardo è il risultato di un impegno di anni, di persone che ci hanno fermamente creduto, di convegni, rapporti e di tele intessute pazientemente tra le diverse forze politiche, e anche di molte sospensioni.

 

L’impressione, guardando da fuori la votazione, è che l’accordo su questo punto sia stato possibile perché la fraternità è una tensione che tutti portano dentro, al di là del fatto che fare il bene comune è difficile, perché tanto diversi sono i modi con cui lo si vuole raggiungere. Una fraternità che in realtà ognuno desidera raggiungere, seppur spesso nelle nostre sedi istituzionali sia prevaricata e calpestata.

 

I consiglieri, consapevoli del rischio che l’occasione si prestasse a interpretazioni pre-elettorali, avevano concordato un unico intervento a margine della votazione, affidandolo a una consigliera uscente. Dalle sue parole è emersa, matura, la presa di coscienza che inserire il principio di fraternità nello Statuto comunale non elimina magicamente le differenze, ma che esso può diventare quel principio a cui ri-orientarsi ogni qual volta emergerà la naturale fatica di accettarsi così, diversi. Lo ribadisce chiaramente al gruppo del Movimento politico per l’unità che ha assistito alla votazione (e che è stato anima e braccia di questo storico risultato) quella stessa consigliera, che dopo alcuni mandati ha scelto di non ricandidarsi: «Questo è un punto di inizio, a cui bisognerà dare gambe ogni giorno. Io non ci sarò più, ma lo Statuto resterà, e di questo sono contenta». 

 

Sarebbe certamente contenta di questa storica giornata anche Chiara Lubich, la prima ispiratrice di questo cammino, qui come in tante altre parti del mondo; lei che nel ricevere la cittadinanza onoraria di questa città, il 2 giugno 2002, le aveva augurato di diventare “capitale della fraternità”.

 

Quello appena compiuto è sicuramente un passo importante: la fraternità da oggi dovrà essere riferimento dell’agire politico di chi siederà su questi banchi. Una fraternità che non risolve meccanicamente i problemi della diversità, ma che propone modi e metodi per viverli e superarli, nella direzione del bene di tutti.

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