Tonino Bello, la guerra e noi
Sono in viaggo verso Tortoreto in Abruzzo, per partecipare all’edizione di un premio per la pace che la cittadina sul mare ha intitolato a don Tonino Bello, con una serie di eventi in programma nel fine settimana della Liberazione contrassegnata, in questo 2024, dalla mancanza di spiragli nella guerra in Ucraina e dalla tragedia immane che continua a colpire la Terra Santa.
Osservo la bella locandina degli eventi con la foto del vescovo di Molfetta ripreso nel pieno delle sue forze accanto a quella che lo immortala segnato dalla malattia che lo porterà a terminare i suoi giorni terreni a soli 58 anni vissuti in donazione totale per gli altri.
Da queste terre, considerate periferiche, si percepisce un sentire popolare intriso di fraternità. Lo ha descritto pienamente il racconto di Ignazio Silone sui contadini abruzzesi che il mutare dei poteri esponeva alla condanna o al premio per aver dato un pezzo di pane ad un prigioniero in fuga.
Don Tonino così parlava dell’umanità incontrata nella sua infanzia ad Alessano nel Salento, dove era nato nel 1935: «Una gente povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel comportamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino, ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore. Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito».
Ed è questa la gente che poi, ad ogni latitudine, viene mandata in guerra, come sapeva molto bene Tonino Bello che, da bambino, aveva vissuto non solo la tragedia della scomparsa prematura del padre nel 1942, ma anche la morte del fratello Vittorio imbarcato nella corazzata Roma affondata il 9 settembre 1943 dai tedeschi davanti alle coste della Sardegna. Un’ecatombe con 1529 vittime tra i giovani coscritti. Un altro fratello, Carmine Giacinto, telegrafista sui mezzi d’assalto Mas della Marina, perse la vita nel 1944.
Entrato giovanissimo in seminario, Tonino maturò quella fede autentica che chiede per prima cosa di essere testimoniata con la vita. Rifiutò titoli come monsignore, cercò il rapporto con tutti, appena nominato vescovo sostenne gli operai in sciopero contro la chiusura delle Ferriere di Giovinazzo. Dirottò i fondi stanziati per l’edificazione di nuove chiese a beneficio di quelle famiglie rimaste senza salario. Aprì le porte della casa vescovile agli sfrattati.
Il tutto senza esibizione o toni rancorosi nell’essere un segno di contraddizione che non poteva, ovviamente, andare bene a tutti, come si manifestò in maniera eclatante sulle grandi sfide della guerra e delle migrazioni insorte dal crollo dell’equilibrio delle superpotenze.
La Puglia di don Tonino è tuttora un luogo decisivo per capire cosa si muove ad Est e sul Mediterraneo. Sapeva che la stessa conformazione geografica del territorio regionale poteva esprimere la vocazione di un’arca di pace oppure di un arco di guerra. Contrastò, perciò, ogni pratica disumanizzante verso le migliaia di migranti in fuga dall’Albania e si espose in prima fila per impedire la costruzione di alcuni poligoni militari nell’area della Murgia.
Gli fu affidata la presidenza nazionale del Movimento Pax Christi nel 1985 dopo 7 anni di sede vacante (per statuto il presidente deve essere un vescovo), dopo la fine del mandato del vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi (entrambi legati alla scuola teologica bolognese del cardinal Lercaro), in prossimità di eventi traumatici come la prima guerra nel Golfo e l’implosione della vicina ex Jugoslavia. L’inizio di quel periodo successivo al crollo del sistema sovietico che non ha prodotto un’era di pace, ma un progressivo riarmo e l’apertura di nuovi fronti fino allo scenario attuale di un possibile conflitto nucleare.
Sono perciò molto attuali i video disponibili sul web che riportano spezzoni di dibattiti televisivi dove il vescovo di Molfetta veniva preso di mira dai sostenitori ricorrenti del cosiddetto realismo politico e della teoria della “guerra giusta”, compreso il dileggio di un gioco di parole sul suo cognome (bello=guerra) da parte di un ministro della Dc.
È una grande responsabilità, perciò, oggi ricevere un premio intitolato a don Tonino Bello. E saremo in tanti a riceverlo il 27 aprile come una sorta di impegno collettivo. Come afferma don Renato Sacco, di Pax Christi, «più che chiederci cosa farebbe lui davanti ad un mondo dilaniato sempre più dalle guerre, dobbiamo chiederci cosa dovremmo fare noi!».
A don Tonino, dalle pagine del periodico Mosaico di pace, si rivolge don Tonio dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, anch’egli esponente storico di Pax Christi, nonché amico e allievo di questo mite vescovo che continua a inquietarci: «Il mondo è in ginocchio. E non sempre per pregare. La nostalgia della tua presenza non è rimpianto romantico ma sete, semplicemente sete di senso per comprendere come è stato possibile piegarsi al simulacro della guerra piuttosto che ridurlo in polvere come fece Mosè con il vitello d’oro».
Dell’Olio affronta il nodo dello stravolgimento, in atto ora in Parlamento, della legge 185/90 sul commercio delle armi per cui don Tonino si era battuto: «Vedessi oggi come stanno operando nell’ombra tra imprenditori e rappresentanti delle istituzioni per allargare le maglie di quelle norme! E questo è niente di fronte alla proposta di imputare alla spesa per la Difesa più del 2% del Pil!».
Brani di un dialogo che non si interrompe al costo di essere tacciati di essere fondamentalisti da crociata quando, invece, si tratta di difendere laicamente una legge dello stato che pone un limite ragionevole al concorso del nostro Paese nella guerra mondiale a pezzi.
Minato dal tumore, Bello riuscì ad organizzare la missione dei 500 volontari disarmati che nel 1992 giunsero in una Sarajevo assediata dai serbi per cercare di fermare la strage. Un’azione temeraria oggi impensabile anche a livello operativo. Li muoveva una istanza che don Tonino espresse con queste parole che restano come una domanda aperta rivolta a chi ha orecchie per intendere: «È possibile cambiare il mondo col gesto semplice dei disarmati? È davvero possibile che, quando le istituzioni non si muovono, il popolo si possa organizzare per conto suo e collocare spine nel fianco di chi gestisce il potere?
Fino a quando questa cultura della nonviolenza rimarrà subalterna? (…) E qual è il tasso delle nostre colpe di esportatori di armi in questa delirante barbarie che si consuma sul popolo della Bosnia? Sono troppo stanco per rispondere stasera. Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza: le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono».
Qui l’elenco del Premio per la pace e la Solidarietà “don Tonino Bello” 2024