Toni Servillo nelle amare voci della coscienza

Ritorna al Teatro Argentina di Roma la commedia di Eduardo De Filippo, scritta sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale, nella messa in scena di grande successo di Toni Servillo. «Eduardo- sottolinea l’attore e regista - ritrae con acutezza una caduta di valori che avrebbe contraddistinto la società, non solo italiana, per i decenni a venire. Ancora oggi siamo tutti vittime, travolte dall’indifferenza, di un altro dopoguerra mondiale».
Toni-e-Peppe-Servillo

È un Eduardo carico di sentimenti oscuri e presagi foschi sul futuro dell'umanità quello di Le voci di dentro. Pièce feroce e farsa napoletana crudelmente sorridente, scritta nel ‘48 sulle macerie della seconda guerra mondiale. Grondante noir da tutte le righe, è incentrata su un omicidio solo sognato dal protagonista Alberto Saporito che incrimina la famiglia Amitrano di averlo commesso.

Il delitto al centro della commedia è inesistente, ma nell'affondo di accuse e veleni sparsi, l'uomo, e tutti gli altri, si convincerà che un crimine è stato davvero commesso ed è quello di uccidere la stima, la fiducia e la solidarietà. Materia densa, complessa, che Toni Servillo, attore e regista di questa messinscena di successo al secondo anno di repliche (dopo aver viaggiato oltre che in Italia anche all’estero) riporta con intelligenza, profondità e leggerezza sul palcoscenico, facendone un altro allestimento (dopo il precedente Sabato, domenica e lunedi) destinato a rimanere nella memoria.

La discesa nei significati riposti della commedia, fa emergere tutto il pessimismo, la crudeltà e la mostruosità come pretesto per svelare cosa si nasconde negli esseri umani. Nel luogo per eccellenza, e cioè la cucina, dove, nei testi di Eduardo, si svolge tutto – conflitti, dialoghi, amori, scontri – Servillo ha voluto una scenografia scarna, bianca (di Lino Fiorito), come un quadro astratto, dove risaltano solo tre arredi: un tavolo, una credenza, una sedia (e, nella seconda parte, un grappolo sospeso di sedie in cupa penombra dietro la parete trasparente: la casa dei fratelli Saporito).

Oggetti, anch’essi bianchi, quasi immateriali, che sembrano immergerci in una visione onirica. E trattandosi di sogno – quello del delitto, che determina tutta la vicenda – inizia e finisce con un sonno: la serva di casa all’inizio, dormiente sul tavolo, e quello del fratello del protagonista, alla fine, sdraiato su una sedia. 

Nel mezzo la vicenda di un poveraccio, e del fratello, con difficoltà economiche e problemi famigliari, che, come detto, credendo di avere assistito a un omicidio perpetrato dai suoi benestanti vicini di casa, li denuncia e li fa arrestare. Rendendosi conto successivamente che le prove di cui credeva di disporre non esistono, e che quell'ipotetico crimine lo ha solo sognato, ammette l'errore, chiede scusa agli accusati che vengono rilasciati. Ma, temendone le vendette, si chiude in casa.

Invece, i presunti colpevoli, ciascuno di nascosto dagli altri, lo vanno a trovare, sì, ma non per rinfacciargli il male subito. Non credendo alla sincerità del suo ripensamento, sono convinti che il delitto sia stato veramente commesso e che egli nega l'accaduto solo per paura o per opportunismo. Anziché prendersela con lui, cominciano dunque ad accusarsi l'uno con l'altro, svelando una realtà famigliare fondata sul sospetto e il discredito reciproco.

Non è esente, in questo clima di meschinità, neanche il fratello, il quale, ritenendolo prossimo a essere incarcerato, tenta di approfittare della situazione per svendere di nascosto le sedie della loro attività ad un mezzano. La ricomparsa della vittima, viva e vegeta, dovrebbe porre fine ai veleni. Ma Saporito torna sulle sue iniziali posizioni: un'uccisione c'è stata davvero, sostiene, ed è quella del rispetto e della fiducia reciproca.

Unico a salvarsi, per Saporito, è zi’ Nicola autoesiliato sul mezzanino di casa e in rancoroso silenzio: lo si vede solo di tanto in tanto affacciarsi per sputare su qualcuno, si sente la sua voce solo per invocare un po’ di silenzio, mentre per “parlare” usa il fragoroso scoppiare dei botti e dei fuochi d’artificio, linguaggio che decifra solamente il nipote. Le voci di dentro, sembra affermare Servillo, sono quelle che è bene imparare ad ascoltare in un mondo gridato, confusionario, dove tutto è frastuono.

Nell’abbagliante scena finale il suo lungo silenzio con la testa fra le mani e mentre guarda il fratello stiracchiarsi e addormentarsi sulla sedia, dice più di qualsiasi parola. Accanto ad un comunicativo e dirompente Servillo che articola il suo personaggio dal guittesco al melò, con momenti esilaranti che toccano la sceneggiata, c’è il fratello Peppe Servillo che gli tiene testa quale astuto calcolatore che ci ricorda i nostri tempi, e un cast di attori d’eccellenza: tra cui Betti Pedrazzi, Chiara Baffi, Marcello Romolo, Gigio Morra, Francesco Paglino.

Al Teatro Argentina di Roma, dal 20 gennaio al 15 febbraio, e in tournée. Coproduzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d'Europa, Teatro di Roma, Teatri Uniti, in collaborazione con Théâtre du Gymnase, Marseille

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