Tommaso D’Aquino e la mensa intellettuale della fede
Nell’ottocentesimo centenario della nascita di s. Tommaso D’Aquino, il Dottore Angelico, desidero onorarne la memoria mettendo in luce gli aspetti del suo pensiero che sono stati valorizzati dagli ultimi pontefici, e che ne hanno riconosciuto l’attualità e l’importanza per la formazione e la cultura cristiana.
Patrono delle scuole cattoliche, Tommaso è considerato un maestro insuperato della filosofia e della teologia cattolica; nella celebre Summa, citata ancora oggi come riferimento filosoficamente e teologicamente autorevole dai maggiori studiosi, ha realizzato una sintesi armonica tra fede, teologia e filosofia, coniugando armonicamente i grandi valori ereditati dalla filosofia greca e dalla cultura antica, con il messaggio cristiano, elaborando in tal modo i principi che sono ancora oggi il fondamento del dialogo inter-culturale e inter-religioso, e che hanno costituito la base non solo della cultura, ma della stessa civiltà occidentale.
In particolare Tommaso, a differenza di altre impostazioni teologiche e spirituali cristiane, ha saputo mettere in grande evidenza il rapporto tra la natura e il Creatore, sostenendo che il riconoscimento e il rispetto della legge naturale, sul piano della scienza, della filosofia, dell’etica e persino dell’attività sociale e politica, non dev’essere considerato anticristiano, ma dev’essere piuttosto valorizzato e riconosciuto come obbedienza e risposta al disegno e alla volontà di Dio.
In particolare Tommaso, coniugando il messaggio cristiano con alcune istanze già presenti sia nella filosofia greca che nel diritto romano, e soprattutto nella Scrittura, afferma che l’attività politica ha come fine autentico il bene comune dei cittadini, i quali non devono disprezzare i beni temporali, ma devono saperli usare ponendoli in relazione ai beni spirituali, e in particolare al comandamento dell’amore, alla caritas donataci da Cristo.
Preferisco non entrare nella polemica che ha diviso i seguaci del suo pensiero, tra coloro che ne apprezzavano la valorizzazione data alla Metafisica di Aristotele (da Gilson a Sertillanges) e quanti invece ne sostenevano la differenza, rivendicandone l’originalità (da Maritain a Fabro), sottolineando nelle sue opere la presenza del platonismo, del neoplatonismo e soprattutto di s. Agostino.
Desidero invece mettere in luce le motivazioni che sono state alla base dell’apprezzamento del suo pensiero e del suo modo di intendere il rapporto tra filosofia e teologia, da parte degli ultimi pontefici, motivazioni che ritengo particolarmente significative ed attuali nell’odierno contesto culturale, filosofico e teologico.
Giovanni Paolo II, nel Discorso al Pontificio Ateneo Angelicum (17.11.1979) indica tre «doti che hanno meritato all’Aquinate, oltre ai titoli di Doctor Ecclesiae e di Doctor Angelicus, tributatigli da san Pio V, anche quello di “Patrono celeste degli ottimi studi (Patronus caelestis studiorum optimorum)”. […] La prima dote è indubbiamente quella di aver professato un pieno ossequio della mente e del cuore alla divina Rivelazione. La seconda dote, che giustifica il primato pedagogico dell’Angelico, è il grande rispetto da lui professato per il mondo visibile, quale opera, e quindi vestigio e immagine di Dio Creatore… La terza dote, infine, che indusse Leone XIII a proporre l’Aquinate come modello di “ottimi studi” a professori ed alunni, è la sincera e totale adesione, da lui sempre conservata, nei confronti del Magistero della Chiesa».
Queste doti hanno voluto indicare – precisa Giovanni Paolo II – che la riflessione filosofica e teologica non deve poggiarsi su un “fondamento instabile”, che la rende “oscillante e superficiale”, ma come è stato affermato nella Dichiarazione sull’educazione cristiana del Concilio Vaticano II, fede e ragione devono incontrarsi «nell’unica verità, seguendo le orme dei Dottori della Chiesa, specialmente di San Tommaso d’Aquino (Gravissimum Educationis, 10)».
Giovanni Paolo II conclude affermando che i padri conciliari, «nello stretto collegamento col patrimonio culturale del passato, ed in particolare col pensiero di san Tommaso …. hanno visto un elemento fondamentale per un’adeguata formazione del clero e della gioventù cristiana e quindi, in prospettiva, una condizione necessaria per il vagheggiato rinnovamento della Chiesa».
Il pensiero filosofico e teologico di San Tommaso dev’essere pertanto conosciuto e seguito anche oggi non solo dagli studiosi ma anche dai giovani studiosi, sia per il “suo spirito di apertura e di universalismo”, sia per la grande considerazione e il grande rispetto che ha mostrato nei confronti dell’uomo, per «la sua natura creata ad immagine e somiglianza di Dio, la sua personalità degna di rispetto fin dal primo istante del suo concepimento, il destino soprannaturale dell’uomo nella visione beata di Dio Uno e Trino».
Non a caso la filosofia di Tommaso, che considerava la persona umana come “l’essere più perfetto che esiste in tutta la natura” (id est perfectissimum in tota natura, Summa Th. I, q.29, a.3)”, è stata riconosciuta come uno dei fondamenti di riferimento principali del “personalismo” filosofico contemporaneo, da Mounier a Stefanni a Rigobello.
Giovanni Paolo II amplia poi la riflessione sull’importanza della valorizzazione della persona offerta da Tommaso, nel Discorso al Congresso internazionale San Tommaso d’Aquino (4 gennaio 1986). La visione della persona umana di Tommaso, egli scrive, «non si ferma alla considerazione astratta della natura umana; essa mostra anche, sulla base dell’esperienza e soprattutto degli insegnamenti della Rivelazione, una spiccata sensibilità – tanto cara ai moderni – per la condizione concreta, storica della persona umana, per la sua – diremmo oggi – “situazione esistenziale” di creatura ferita dal peccato e redenta dal Sangue di Cristo; per l’originalità e la dignità della singola persona; per il suo aspetto dinamico e morale», ovvero per il valore e la dignità “dell’esistenza umana”.
Giovanni Paolo II precisa inoltre che la grande valorizzazione di Tommaso nei confronti della persona umana ha le sue radici non solo nella Scrittura – come hanno evidenziato i filosofi di origine ebraica, come Buber e Lévinas – ma anche nella sua filosofia dell’essere (metafisica) “nella quale la massima perfezione è data dall’essere inteso come “atto di essere” (esse ut actus).
Ora, – chiarisce Giovanni Paolo II – la persona, ancor più della “natura” e dell’“essenza”, mediante l’atto d’essere che la fa sussistere, s’innalza appunto al vertice della perfezione dell’essere e della realtà, e quindi del bene e del valore, in modo tale da «dar fondamento e giustificazione ai più alti valori della persona – oggi così spesso invocati –, quali il valore della coscienza morale, dei diritti inalienabili, della giustizia, della libertà e della pace: insomma, tutto ciò che concorre a chiarire il vero bene dell’uomo redento da Cristo perché riconquistasse la dignità perduta e raggiungesse la condizione di figlio di Dio».
Ma la grande meditazione che Giovanni Paolo II ha offerto agli studiosi cristiani, e in particolare ai filosofi, forse ispirandosi proprio a Tommaso, è stata quella di aver recuperato l’intima relazione tra Maria e la filosofia; in effetti l’appellativo di “mensa intellettuale della fede” ha fatto parte della prima meditazione su Maria dei Padri, in particolare dello Pseudo Epifanio.
Al termine della Fides et ratio Giovanni Paolo II scrive: «Il mio ultimo pensiero è rivolto a Colei che la preghiera della Chiesa invoca come Sede della Sapienza. La sua stessa vita è una vera parabola capace di irradiare luce sulla riflessione che ho svolto. Si può intravedere, infatti, una profonda consonanza tra la vocazione della Beata Vergine e quella della genuina filosofia. Come la Vergine fu chiamata ad offrire tutta la sua umanità e femminilità affinché il Verbo di Dio potesse prendere carne e farsi uno di noi, così la filosofia è chiamata a prestare la sua opera, razionale e critica, affinché la teologia come comprensione della fede sia feconda ed efficace. E come Maria, nell’assenso dato all’annuncio di Gabriele, nulla perse della sua vera umanità e libertà, così il pensiero filosofico, nell’accogliere l’interpellanza che gli viene dalla verità del Vangelo, nulla perde della sua autonomia, ma vede sospinta ogni sua ricerca alla più alta realizzazione. Questa verità l’avevano ben compresa i santi monaci dell’antichità cristiana, quando chiamavamo Maria La mensa intellettuale della fede. In lei vedevano l’immagine coerente della vera filosofia ed erano convinti di dover philosophari in Maria».
Giovanni Paolo II vede quindi «una profonda consonanza tra la vocazione della Beata Vergine Maria e quella della genuina filosofia» (n.108), riconoscendo implicitamente in Tommaso un fedele discepolo che ha saputo attuarne il messaggio, ed anche oggi un esempio per tutta la Chiesa.
Maria, per Giovanni Paolo II, ha una particolare missione nei confronti della filosofia, non solo perché permette di completare il suo modello devozionale legato alla pietà dei fedeli, ma anche perché essa assume il prototipo del tradizionale rapporto tra la ragione e la fede, ricoprendo il ruolo esemplare di ogni autentica ricerca intellettuale della Verità, di ogni vera apertura spirituale che sa accogliere e donare la Verità per amore.
Il Vangelo dell’Annunciazione (Lc 1, 28-34), testimonia in modo sublime non solo il cammino della ricerca e dell’amore della Sapienza, dell’apertura ad accoglierla ed a donarla con amore, ma dimostra anche che la disponibilità ad accogliere la parola di Dio è preparata da una formazione anche intellettuale, e che l’esercizio autentico dell’intelligenza ha saputo comprendere e interpretare la sua Parola alla luce della Verità.
Il comportamento e l’adesione di Maria alla parola dell’angelo diviene così modello del rapporto tra l’intelligenza dell’uomo e la parola di Dio, tra la ragione e la fede. Alcuni studiosi hanno precisato che Maria, come “mensa intellettuale della fede”, mostra infatti le tappe che testimoniano il cammino che percorre il vero amore della Sapienza – la filos-sofia – , e che sono: l’attenzione, ovvero la capacità di sapere ascoltare, in una disposizione di apertura e di fiducia la Verità, che è insieme capacità di fare silenzio, di saper dialogare e riconoscere gli infiniti orizzonti in cui essa risplende; la fecondità, nel senso che Maria è madre feconda, e ciò significa che ogni comunione con la Verità, che è lo stesso Essere, può dirsi autentica solo se diviene capace di generare negli altri la gioia dell’incontro, superando le barriere delle culture, delle psicologie, dei pregiudizi, e diviene feconda per l’ inizio e la nascita della comunità; e infine l’accoglienza, intesa come dono di un futuro di speranza; Maria infatti, nell’episodio dell’Annunciazione, domanda “come è possibile” (Lc.1,34), ma poi accoglie l’annuncio dell’Angelo; questa è una grande lezione per la filosofia, perché chiarisce che ogni domanda della filosofia non deve essere carica di pregiudizi, non deve porre condizioni per l’accoglimento della verità, ma deve saper accettare la novità, anche se sorprende, e anche se apparentemente sembra diversa da quanto ci aspettavamo.
In questo contesto di dialogo e di “accoglienza” per Giovanni Paolo II si può comprendere anche la valorizzazione delle contemporanee “filosofie del dialogo e della persona”. Come è scritto in Varcare la soglia della speranza, l’esperienza antropologica diviene in queste filosofie una via privilegiata non solo per la conoscenza, ma anche per l’“esperienza” di Dio: «A questa esperienza hanno contribuito moltissimo i filosofi del dialogo, come Martin Buber o il già citato Lévinas… Da dove hanno imparato ciò i filosofi del dialogo? Lo hanno appreso prima di tutto dall’esperienza della Bibbia. L’intera vita umana è un “coesistere” nella dimensione quotidiana – “tu” e “io” – e anche nella dimensione assoluta e definitiva: “io” e “Tu”. La tradizione biblica ruota intorno a questo Tu, che è dapprima il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio dei Padri, e poi il Dio di Gesù Cristo e degli apostoli, il Dio della nostra fede. La nostra fede è profondamente antropologica, radicata costitutivamente nella coesistenza, nella comunità del popolo di Dio, e nella comunione con questo eterno Tu. Una simile coesistenza è essenziale per la nostra tradizione giudeo-cristiana e proviene dall’iniziativa di Dio stesso. Essa sta nella linea della creazione, di cui è il prolungamento, ed è – come insegna san Paolo (cfr. Ef 1,4-5) – al tempo stesso “l’eterna elezione dell’uomo nel Verbo che è il Figlio”».
Giovanni Paolo II è stato per questo un maestro nel saper leggere e valorizzare le istanze positive presenti nella cultura contemporanea.
Benedetto XVI nella Catechesi nell’Udienza Generale del 28 ottobre 2009, ha poi approfondito ulteriormente il legame che unisce Maria alla vera filosofia: «Guardare a Maria come modello e paradigma della filosofia, e soprattutto cercare di riviverla come seguaci di Cristo, significherà allora per i filosofi cristiani ritrovare la via che unisce il pensiero all’essere reale, la vita intellettuale all’esistenza concreta e infine la ragione alla fede, per un rinnovato incontro di filosofia e teologia».
E ciò perché «fede e ragione, in reciproco dialogo, vibrano di gioia quando sono entrambe animate dalla ricerca dell’intima unione con Dio. Quando l’amore vivifica la dimensione orante della teologia, la conoscenza, acquisita dalla ragione, si allarga. La verità è ricercata con umiltà, accolta con stupore e gratitudine: in una parola, la conoscenza cresce solo se ama la verità. L’amore diventa intelligenza e la teologia autentica sapienza del cuore, che orienta e sostiene la fede e la vita dei credenti».
Non c’è dubbio che Tommaso sia stato nei secoli un esempio e un modello di ciò che significa fare della filosofia una “mensa intellettuale della fede”, meritando anche oggi l’augurio che il suo esempio sostenga i filosofi cristiani, favorendone l’amore alla verità umana e divina, alla giustizia e all’amore di Dio e degli altri, facendo della filosofia una luminosa “mensa intellettuale della fede”.
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