Tolstoj, una vita tra guerra e pace
Precoce è, in Lev Nikolaevič Tolstoj, il disincanto per la vita militare e per quella che ai suoi tempi ancora è definita “la nobile arte della guerra”. Tutto inizia nel 1851 quando, giovane volontario e poi ufficiale di artiglieria, il futuro romanziere partecipa alla campagna militare per il controllo del Caucaso, e ha un seguito nel successivo conflitto russo-turco in Crimea, con il suo spaventoso spreco di uomini e mezzi.
Da questa esperienza sconvolgente scaturiscono i Racconti di Sebastopoli, ferma denuncia del non senso della guerra. Pubblicata fra il 1855 e il 1856, l’opera sconcerta i lettori per la cruda verità e l’assenza di romanticismo guerriero o di patriottismo sentimentale.
Da qui in poi Tolstoj comincia a immaginare un vasto romanzo storico nel quale proseguire le sue riflessioni sulla assurdità della guerra: quel Guerra e pace, pubblicato tra il 1863 e il 1869, dove le vicende di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, s’intrecciano alla campagna napoleonica in Russia del 1812 e alle prime società segrete russe, capolavoro paragonabile ai grandi poemi omerici che celebra l’eroismo del popolo russo nel resistere all’invasore francese.
Ma ecco una nuova batosta per l’imperialismo zarista: le ostilità accese nel 1904 tra Russia e Giappone per il controllo di Manciuria e Corea registrano il susseguirsi delle sconfitte russe fino all’ultima, definitiva, a Tsushima, ad opera dall’ammiraglio giapponese Togo.
Cosa pensa Tolstoj di questo nuovo conflitto, lui che nel 1896 ha scritto una Lettera agli italiani (pubblicata però solo molti anni dopo) contro la guerra italo-abissina? Rinnegati gli pseudovalori della società aristocratica a cui appartiene e convertitosi al Vangelo – un Vangelo peraltro depurato dal soprannaturale e ridotto a norme morali, ciò che gli è costato la scomunica della Chiesa ortodossa –, l’ormai celebre scrittore torna alla carica col breve saggio Contro la guerra russo-giapponese, che riproposto di recente dalle Edizioni Gruppo Abele col titolo Ricredetevi!, a distanza di oltre cent’anni conserva intatta la sua attualità ora che un’altra guerra, guerra di aggressione contro l’Ucraina, è stata scatenata da Vladimir Putin.
In questo testo che ha come punto di forza il precetto evangelico dell’amore anche al nemico, corredato da citazioni pacifiste di vari personaggi della storia e da testimonianze della gente comune coinvolta suo malgrado in un dramma manovrato da chi governa, l’ex militare Tolstoj – ora paladino della pace e della non violenza – esorta i connazionali a ripudiare la guerra, la cui vera natura è l’omicidio su larghissima scala: circa 200 mila saranno infatti le vittime complessive dello scontro tra i due Imperi.
Per Tolstoj ogni guerra si riduce ad un massacro aberrante che non vale il sacrificio di una sola vita umana. Egli non sa capacitarsi come uomini di buon senso possano «propagare la guerra, concorrervi, parteciparvi e, quel che è più terribile, senza esporsi ai pericoli della guerra, spingervi, mandarvi dei disgraziati fratelli ingannati. Queste persone sedicenti illuminate, senza parlare neppure della legge cristiana, se la professano, non possono ignorare tutto ciò che fu ed è scritto, tutto ciò che fu detto e che si dice della crudeltà, dell’inutilità, dell’infamia della guerra».
La quale, tuttavia, non è il solo bubbone della società da eliminare. L’elenco di Tolstoj comprende la pena di morte (a Parigi ha assistito sconvolto ad una condanna alla ghigliottina), l’ipocrisia e gli abusi di potere della aristocrazia, la miseria dei contadini e delle classi umili cittadine. Né gli è bastato denunciare tutto ciò in Anna Karenina, secondo capolavoro.
Con l’intento di promuovere l’emancipazione sociale dei contadini nella sua tenuta di Jàsnaja Poljàna, fonda una scuola dove si dedica all’istruzione dei bambini del villaggio, scrivendo lui stesso i testi didattici. Smuovere però abitudini ataviche si rivela una vera impresa.
Altre e più cocenti le delusioni in famiglia, iniziando dal figlio Andrej arruolatosi come volontario per combattere al fronte proprio in quella guerra russo-giapponese stigmatizzata dal padre. Fino ai contrasti sempre più aspri (quasi una guerra domestica!) con la moglie Sof’ja Andrèevna, incapace di comprendere il radicalismo etico del marito e soprattutto contraria alla sua decisione di rendere beneficiari dei diritti dei suoi romanzi i contadini invece dei figli.
Per sfuggire al controllo sulla propria persona operato dalla consorte, lettrice furtiva dei suoi diari segreti, l’anziano scrittore prende la decisione drastica di abbandonare quel purgatorio familiare: una fuga notturna verso la Crimea interrotta però dalla morte nella stazioncina di Astàpovo il 20 novembre 1910.
Per tornare a Ricredetevi!, fanno impressione parole di fuoco come queste: «Quanto ai giornalisti, più grave è la situazione dei russi, più sfacciatamente smentiscono, trasformando le disfatte vergognose in vittorie, sapendo che nessuno li contraddirà […] E la stessa cosa avviene in Giappone. […] Là, pure, i giornalisti mentono e si rallegrano dell’esagerazione della verità».
Quanto ai pastori cristiani, «continuano […] a commettere il sacrilegio di invocare l’aiuto di Dio per la guerra», mentre «i teologi giapponesi e i maestri religiosi […] deformano la dottrina di Budda e ammettono, giustificano anzi, l’assassinio proibito da Budda». E tutto ciò «come se la dottrina cristiana e la dottrina buddista sull’unità dello spirito umano, sulla fratellanza degli uomini, sull’amore, sulla compassione, sull’inviolabilità della vita umana, non fossero mai esistite».
In questo, come negli altri testi filosofico-religiosi o morali degli ultimi anni, Tolstoj privilegia un linguaggio semplice, diretto, senza intenti letterari. Non aveva, del resto, ripudiato gli stessi suoi capolavori narrativi per dedicarsi totalmente a quella che riteneva una missione: far arrivare il più al largo possibile il messaggio pacifista?
Commuove questo irriducibile idealista dotato di un talento enorme, ma tormentato dalle proprie debolezze umane; con idee tutt’altro che chiare riguardo alla religione, eppure capace di pagare di persona, perdendo fama e affetti, pur di contribuire al sogno di una società più umana, alla purezza di una vita secondo natura.
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