Tokyo 2020: la domenica “bestiale” dello sport italiano

Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs, nel giro di pochi minuti, regalano una gioia infinita a tutti gli appassionati di sport del nostro Paese. Riviviamo le emozioni di una giornata di “stordente bellezza”, con due ori che per noi italiani sarà davvero difficile dimenticare.
Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs

Una giornata folle, meravigliosa. Un pomeriggio d’estate che, in pochi minuti, ci ha fatto prima sognare e poi esultare. Anche a parlarne adesso, a freddo, sembra quasi impossibile che sia successo, ma è tutto incredibilmente vero. Quello cui abbiamo assistito nel primo pomeriggio di questo 1 agosto 2021, rimarrà per sempre nei cuori di tutti gli appassionati sportivi del nostro Paese. Uno di quei momenti che sarà impossibile dimenticare. L’uomo che salta più in alto nel pianeta? E’ italiano. L’uomo più veloce del mondo? Anche. Ma facciamo un passo indietro.

La nona giornata dei Giochi di Tokyo 2020 ci aveva già regalato di primo mattino una medaglia davvero prestigiosa, quella, di bronzo, ottenuta nel nuoto dalla staffetta 4×100 mista maschile. Thomas Ceccon, Nicolò Martinenghi, Federico Burdisso e Alessandro Miressi, quattro debuttanti assoluti alle Olimpiadi, avevano portato il bottino di medaglie azzurre a questi Giochi a quota 25. Poi, dalla piscina tutta l’attenzione si è spostata sulla pista di atletica leggera, per due finali che vedevano impegnati nostri rappresentanti. La speranza di assistere a qualcosa di “bello” c’era. Il sogno di poter conquistare una medaglia, seppur solo sussurrato, anche. Ma diciamola tutta, neanche il più ottimista degli italiani avrebbe immaginato quello che di li a poco sarebbe successo.

Si comincia con il salto in alto. In pedana, tra i tredici finalisti, anche l’azzurro Gianmarco Tamberi. Prima di ogni salto il ventinovenne azzurro si sistema i calzini bianchi e neri, sui quali è raffigurata la sua immagine. Vola leggero Gianmarco. In alto, sempre più in alto. Salta al primo tentativo 2.19, poi 2.24, poi ancora 2.27 e 2.30. I suoi avversari cominciano a sbagliare, ma la gara è di altissimo livello. Rimangono in dieci concorrenti, e si sale ancora più sù. Tra un salto e l’altro Tamberi sorride, si congratula con gli avversari. Supera 2.33 poi anche 2.35. «Papà questo era proprio bello», dice al genitore presente in tribuna. Il padre, Marco, è stato anche lui un saltatore in alto, primatista italiano e finalista ai Giochi di Mosca del 1980, ed è il suo attuale allenatore.

Si sale ancora, e Gianmarco supera anche 2.37, sempre al primo tentativo. «È la mia Olimpiade. La mia! La mia!», sussurra rivolgendosi alla telecamera. È una misura che può fare la differenza. La superano alla prima prova anche il bielorusso Maksim Nedasekau (che però ha fatto un errore a 2.35) ed il rappresentante del Qatar, Mutaz Essa Barshim, mentre altri tre atleti sbagliano il primo tentativo e passano per tentare il tutto per tutto a 2.39. La medaglia olimpica ormai è lì, ad un passo. Se tutti fallissero, sarebbe addirittura quella del metallo più pregiato. A questo punto, chi assiste alla gara vede che l’azzurro poggia un gambaletto di gesso in pedana, proprio vicino al punto da cui intende partire per prendere la rincorsa. Chi non conosce la sua storia si chiede di cosa si tratti. Chi invece sa le peripezie che ha dovuto affrontare Gimbo (questo il suo soprannome), capisce subito: si tratta di quello che gli fu messo a seguito dell’incidente occorsogli a Montecarlo nel 2016.

Gianmarco Tamberi (AP Photo/David J. Phillip)
Gianmarco Tamberi (AP Photo/David J. Phillip)

Già, quella sera “dolcissima”, quando saltando proprio 2.39 stabilì il record italiano. Quella sera, però, al tempo stesso “maledetta”, quando fu vittima di un infortunio alla caviglia che, a pochi giorni dal via delle Olimpiadi, gli costò la partecipazione ai Giochi di Rio 2016. L’atleta marchigiano sbaglia i suoi tre tentativi a 2.39, ma sbagliano anche gli altri. Ora lui e Barshim sono alla pari, in una situazione al limite. I due si abbracciano, ma bisogna decidere il da farsi. Nel salto in alto si arriva allo spareggio nel caso in cui due atleti superino la stessa misura, abbiano lo stesso numero di errori alle misure inferiori, e abbiano lo stesso numero di tentativi per superare l’ultima misura. È proprio il loro caso. A termini di regolamento lo spareggio funziona così: si fa un solo tentativo all’ultima altezza superata (in questo caso 2.37), poi se nessuno supera l’asticella si scende alla penultima (per questa finale 2.35) e così via.

Il giudice di gara si avvicina a Gianmarco e a Mutaz Essa spiegando loro la situazione e dicendogli che si può procedere, che possono fare il jump-off, il salto aggiuntivo per decidere chi sarà la medaglia d’oro e chi quella d’argento. Barshim però gli chiede: «Possiamo avere due ori?». «Si, è possibile – gli risponde il giudice –. Dipende da voi, se decidete così, siete entrambi campioni». Il regolamento, infatti, prevede la possibilità che “solo se i due atleti sono d’accordo” la medaglia può essere condivisa.

Barshim è un vero mostro sacro di questa disciplina, l’atleta che ha vinto le ultime due edizioni dei campionati del mondo, colui che vanta il secondo miglior salto di sempre (2.43) dietro solo il “vecchio” primato del mondo del cubano Javier Sotomayor (2.45 datato 1993). Dall’alto di “questi numeri” potrebbe voler andare avanti, anche più di Tamberi. I due si guardano, ci pensano su solo un attimo, nessuno vuole togliere all’altro la gioia più bella. Si fanno un gesto d’intesa e si danno il cinque. La decisione è presa: hanno scelto non di fare lo spareggio, ma di dividere l’oro … per condividerlo. Gianmarco non sta più nella pelle. Oro! Alle Olimpiadi! Dopo tutto quello che gli era successo! Roba da non crederci.

Un uomo in tribuna si piega su se stesso, e scoppia a piangere. È papà Marco, uno che ha vissuto da vicino, giorno dopo giorno, tutto il cammino che ha portato il figlio fino ad issarsi, in questa domenica olimpica, sul gradino più alto del Podio a cinque cerchi. Uno che ha lo ha visto soffrire, piangere per quell’infortunio che cinque anni fa privò il proprio figlio del sogno di partecipare ad una Olimpiade. Sono passati cinque lunghi anni da quel giorno. Anni scanditi da delusione, da dubbi sul futuro agonistico. Ma ora è tempo di gioire. «È impossibile, è impossibile. Quando in pedana ho capito un attimo quello che era successo ho sentito il cuore scoppiare. Sono passato attraverso delle difficoltà infinite in questi ultimi anni. Ho fatto bene a crederci fino alla fine. Crederci fino in fondo. Ha funzionato», ha raccontato il nostro atleta ai cronisti che lo hanno intervistato a fine gara. «Dopo l’infortunio ho passato una settimana nel letto a piangere, pensavo che non ce l’avrei fatta, che non sarei più tornato a saltare. Poi la mia fidanzata mi ha scritto sul gesso “Road to Tokyo”. E oggi sono davvero qui. Non ci posso credere».

Passano pochi minuti e il programma dell’atletica prevede la finale dei 100 metri maschili. In gara anche un’atleta italiano. Ha ventisei anni. Papà statunitense, mamma italiana, è nato in Texas, ad El Paso, ma è cresciuto in Italia, più precisamente a Desenzano del Garda. Si è avvicinato allo sport giocando a pallacanestro. Poi si è innamorato del calcio, disciplina che ha fatto emergere le sue doti di velocista. Da li il passaggio all’atletica è stato breve. Si chiama Lamont Marcell Jacobs, è papà di tre bambini, ed ha una passione per i tatuaggi. Ma oggi tutta la sua attenzione è rivolta in pista, dove ha già scritto una pagina di storia con la sua sola presenza in finale. Una cosa mai riuscita ad un atleta italiano da quando esistono le Olimpiadi. Una cosa che neanche campioni del calibro di Pietro Mennea o Livio Berruti erano riusciti a fare in passato. Ma Marcell, che negli ultimi due anni ha saputo progressivamente migliorarsi grazie anche ai sapienti consigli di Paolo Camossi (ex saltatore di triplo), allenandosi anche su una pista di atletica costruita appositamente per lui dal suo vicino di casa, dopo le convincenti prove del primo turno e della semifinale, adesso sogna di fare ancora di più.

Parte subito in testa. Corre veloce, sempre più veloce. I suoi più immediati inseguitori tentano di raggiungerlo. Ma il poliziotto bresciano domina, resiste, e non lo prendono più. Quarantacinque passi in tutto: è lui il campione olimpico della gara più seguita di tutti i Giochi a cinque cerchi. La più iconica, la più “prestigiosa”. Quella che per meno di dieci secondi ha il potere di catalizzare l’attenzione dell’intero pianeta. È lui il re olimpico dei 100 metri, il primo dopo Bolt. Vince senza mai dare l’impressione di poterla perdere questa finale, e lo fa con lo stesso tempo (9”80) con cui il fenomeno giamaicano si aggiudicò l’oro alle sue ultime Olimpiadi, quelle di Rio 2016. Un tempo che rappresenta anche il nuovo record italiano ed europeo sulla distanza. Una cosa … pazzesca! Dietro di lui lo statunitense Kerley è argento (9”84), mentre il canadese De Grasse si aggiudica il bronzo (9”89). Gianmarco Tamberi è il primo ad andare ad andargli incontro. I due si abbracciano e diventano una sola cosa, avvolti nel tricolore.

Marcel Jacobs (AP Photo/David J. Phillip)
Marcel Jacobs (AP Photo/David J. Phillip)

«Vedere vincere Tamberi mi ha gasato un sacco. Conosco la sua storia, so cosa ha dovuto passare per arrivare qui, anche io ho preso batoste da tutte le parti. Per vincere ci vogliono mille sconfitte, bisogna anche saper perdere con classe per potersi rialzare», ha dichiarato Marcell. «È qualcosa di incredibile. Credo che avrò bisogno di una settimana per realizzare quello che è successo. Il mio sogno è sempre stato quello di vincere una medaglia olimpica, magari anche una medaglia d’oro olimpica. Perché nei sogni puoi sognare tutto quello che vuoi, e quindi perché non sognare il più in alto possibile?». Si, non è un sogno, è successo davvero. Per la prima volta nella storia dello sport italiano un azzurro sale sul gradino più alto del podio in una gara olimpica di salto in alto maschile. Per la prima volta nella storia dello sport italiano un azzurro conquista una finale dei 100 metri maschili (addirittura vincendola). Si, il cielo è blu, anzi azzurro, sopra le nuvole che hanno “tormentato” queste Olimpiadi. Se poi tutto questo non fosse vero, se si trattasse di un sogno, allora per favore… non svegliateci.

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