Tobia e Sara: un amore scritto in Cielo
Chiunque sia ammirato dalla soavità e dalla profondità del matrimonio cristiano non può rimanere indifferente al libro di Tobia. Questo delizioso racconto ha incantato i cuori dei fedeli medievali e incanta quelli dei fedeli moderni che amano vedere le rughe distendersi sul volto di Dio, come scrive Pietro Citati. In esso ci sono due storie, che s’intersecano e poi s’uniscono. La prima: Tobi è un deportato ebreo che vive nella grande capitale assira, Ninive. Ha una moglie, Anna, e un figlio, Tobia. È un uomo giusto, Tobi, che fa l’elemosina, aiuta i poveri con il suo denaro e seppellisce i correligionari morti, sfidando i severi decreti assiri. Ma a quest’uomo giusto capita una grande disgrazia: diventa improvvisamente cieco. Il cielo per lui s’oscura, il mondo attorno si confonde nell’ombra. Non può più camminare se non guidato da qualcuno. Pure sua moglie lo insulta: A che cosa sono servite le tue elemosine? A che cosa è servito fare il bene? Guarda come sei ridotto!. Ferito da quelle parole, forse più ancora che dalla stessa cecità, Tobi si rivolge a Dio, lamentandosi con Dio. Ma anche il lamento verso l’Onnipotente è spesso preghiera: Da’ ordine che venga presa la mia vita, in modo che io sia tolto dalla terra e divenga terra, poiché per me è preferibile la morte alla vita. I rimproveri che mi tocca sentire destano in me grande dolore. Signore, comanda che sia tolto da questa prova; fa’ che io parta verso l’eterno soggiorno; Signore, non distogliere da me il volto. Per me infatti è meglio morire che vedermi davanti questa grande angoscia e così non sentirmi più insultare!. La seconda storia: nella città di Ecbatana, in Media, abita Raguele, un parente di Tobi. Raguele ha una figlia, Sara: Una ragazza seria, coraggiosa, molto graziosa che aveva avuto nientemeno che sette matrimoni alle spalle, ma – ahimè! – tutti gli sfortunati mariti erano morti la notte stessa delle nozze, prima di unirsi con lei come si fa con le mogli. Il demone Asmodeo, che perseguita Sara, li ha uccisi. La gente maligna su di lei; una serva la insulta; i suoi genitori sono prostrati dal dolore e dalla vergogna. Nella sua sconsolata tristezza, Sara sale nella stanza con l’intenzione d’impiccarsi. Poi si rivolge a Dio implorando la morte: Di’ che io sia tolta dalla terra, perché non abbia a sentire più insulti. Tu sai, Signore, che sono pura da ogni disonestà con uomo e che non ho disonorato il mio nome, né quello di mio padre nella terra dell’esilio… Già sette mariti ho perduto: perché dovrei vivere ancora? Se tu non vuoi che io muoia, guardami con benevolenza: che io non senta più insulti. Le preghiere di Tobi e Sara salgono al Cielo, e lo perforano. La supplica è accolta davanti alla gloria di Dio. Allora Tobi si ricorda d’aver lasciato denaro in deposito presso un parente che abita in Media. Chiede al figlio Tobia di cercarsi una fidata guida e di percorrere le infide strade che portano laggiù per recuperare il denaro. Si presenta una guida d’eccezione: l’arcangelo Raffaele, sotto le spo- glie d’un esperto viaggiatore, ebreo della diaspora. Dio s’era messo alacremente all’opera! I due, il giovane e l’angelo camuffato, partono. Accompagnati dal cane di Tobia, affettuosa e scodinzolante presenza in questo racconto, che è tutto intriso di fragranza di vita famigliare. I due viaggiatori giungono stremati sulle rive del fiume Tigri. Lì Tobia cattura un grosso pesce. Ne arrostiscono la carne al fuoco e la mangiano con voracità; ma su consiglio dell’angelo, il giovane estrae il fiele, il fegato e il cuore del pesce e li mette in un sacchetto. Poi, strada facendo, l’angelo Raffaele parla a Tobia della sua parente Sara. E gliene parla così bene che Tobia s’innamora di lei ancora prima ancora di conoscerla; anzi comprende che Sara è la donna scelta per lui dal Cielo come compagna della sua vita. Da quel momento pensa solo a lei e l’amò al punto da non saper più distogliere il cuore da lei. Giunti a Ecbatana, Tobia e Sara s’incontrano: ai due basta uno sguardo, un sussulto del cuore, un brivido lungo le braccia, per comprendere che sono fatti l’uno per l’altro. L’angelo la chiede in moglie per Tobia; il padre Raguele acconsente, benedice i due sposi e ordina di preparare la camera nuziale. Ma, sottovoce, comanda pure ai servi di scavare una fossa nel retro della casa: se ci fosse scappato l’ottavo marito morto l’avrebbero seppellito senza che nessuno lo venisse a sapere. Altrimenti, con le male lingue del paese, non ci sarebbe stata più vita. Tobia, quella notte, prima di unirsi a Sara, brucia sul braciere dell’incenso che stava nella stanza, il fegato e il cuore del pesce, come gli aveva ordinato l’angelo. All’odore, il demonio Asmodeo fugge da Sara e non si farà mai più vedere. Quindi Tobia prega: Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri… Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Tu hai detto: non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione. Dègnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia . Poi i due sposi s’addormentano abbracciati teneramente. Al mattino, trovandoli vivi, esplode la gioia dei genitori. Le feste di matrimonio durano ben quattordici giorni, e durante il banchetto la suocera raccomanda a Tobia: Figlio e fratello carissimo, ti affido mia figlia in custodia. Non farla soffrire in nessun giorno della tua vita. D’ora in avanti io sono tua madre e Sara è tua sorella. Possiamo tutti insieme avere buona fortuna per tutti i giorni della nostra vita. Poi li bacia. Sara s’accomiata dalla famiglia e va a vivere con Tobia a Ninive. Nel viaggio di ritorno sono carichi dei doni d’animali, di servi e d’altre ricchezze donate da Raguele. Il cane, abbaiante presenza in questo racconto, continua a seguirli scodinzolando fedelmente. Giunti a Ninive, su indicazione dell’angelo, Tobia spalma il fiele del pesce sugli occhi del padre Tobi, che riacquista subito la vista. Raffaele, allora, rivela la sua vera identità, raccomandando: Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto. È bene tener nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio. Poi s’invola verso il trono di Dio. Tobi e Tobia, stupiti, si prostrano a terra: quindi Tobi esplode in un inno di lode all’Altissimo, che da due situazioni infelici, da due amare preghiere, ha fatto nascere una grande gioia. Epilogo. Tobia e Sara continuarono a dar gloria a Dio nella loro vita da sposi condita dagli ingredienti essenziali: passione solare, tenerezza e attenzione l’uno per l’altro. Il loro, come ogni rapporto autentico, indugia a farsi pubblicità e preferisce nascondersi nella normalità quotidiana del bene. Ma c’è qualcosa che illumina il rapporto intimo, la serena complicità famigliare nella quale è compresa la loro vita. Non solo l’amore fra Sara e Tobia era scritto in Cielo; non solo erano fatti l’uno per l’altra sebbene non si conoscessero, abitassero in terre distanti e avessero tragiche peripezie alle spalle. Il segreto della loro confidenza è che Tobia chiama sua moglie Sara, sorella; e lei lo chiama fratello. E cosa c’è di più intimo di poter chiamare il proprio sposo, fratello, la propria sposa, sorella?