To Rome with love
Esce il 20 l’atteso ultimo film di Woody Allen, To Rome with love. Una commedia deliziosa, con l’umorismo agrodolce di un americano che ama l’Europa, come Allen, e che si diverte a rivedere, a modo suo, alcune città come Barcellona, Parigi, ed ora Roma.
La Roma non è quella attuale, ovviamente. Ma una vecchia signora da cartolina, su cui si può viaggiare sulle note di “Volare” (che apre il film), cioè una città onirica, felliniana, tra ricordi della Dolce vita, escursioni al Colosseo, alle Terme (di notte) e innamoramenti che vanno a finire sulla scalinata di Trinità dei Monti.
Per Allen Roma è quella rimasta negli anni Cinquanta-Sessanta, luogo d’amore, e di magia. C’è un’aria surreale in questa commedia, dove Allen prende molto in giro sé stesso – memorabili le battute dedicate a Freud (del resto, nel film, ha una terribile moglie psichiatra e lui è un immaginifico regista teatrale) –, con un certo provincialismo (la storia del maritino di Pordenone che arriva fresco in città con la moglie svanita dietro il suo attore preferito), il pressapochismo cittadino ( l’ironia, un vero divertissement, sulla vaghezza delle indicazioni topografiche date dai romani ai poveri turisti).
Ci sono anche i sogni della gente semplice: il proprietario di pompe funebri – sulle quali Allen innesta alcune delle migliori battute – che canta da tenore sotto la doccia arie da "Tosca", "Turandot", "Pagliacci", "Fedora" e che lui, il regista, vuole trasformare in una star della lirica. Non è l’Italia la terra dei tenori (Caruso!) e dell’opera? E ci riesce, anche perché la star è vera sul serio, ed è il grande tenore Fabio Armiliato, molto divertente e comunicativo nella sua prima prova sul set.
Ovviamente, Allen si diverte a ironizzare sui registi “innovativi” – non sveliamo il “come” – , ma non solo. Perché la storia si fa improvvisamente attuale, con il giro di uomini attempati intorno a una escort (Pénelope Cruz) che riesce a svegliare l’incauto maritino di Pordenone, e con il personaggio surreale di Leopoldo, interpretato da un Roberto Benigni in stato di perenne sbalordimento. Infatti, da semplice impiegato si vede trasformato dalla televisione in star mediatica, senza capirne il motivo. “Sedotto e abbandonato”, fatica a ritrovare sé stesso: un film nel film, perché Allen è quanto mai corrosivo verso il sistema mediatico e i suoi metodi.
Naturalmente, la corrosione è alleggerita dal susseguirsi delle scene con gli altri personaggi, con i quali il regista si diverte a ripassare le “commedie all’italiana”. In fondo, il film vuol essere un atto d’amore a Roma e alla sua magia, ma anche alle sue illusioni. Come John (Alec Baldwin), architetto americano in vacanza nella città dove ha vissuto da giovane, commenta cercando di far da coscienza (inutile?) al giovane Jack (Jesse Eisenberg) nella cui fragilità (qui il sesso forte son le donne, giovani o mature) rivede sé stesso.
Allen, a quanto pare, ha Roma nel cuore, ed anche l’Italia. Così inserisce alcuni attori nostrani come Riccardo Scamarcio, che interpreta sé stesso, e Antonio Albanese, che rifà Cetto La Qualunque, nonchè la brava “ingenua ma non troppo” Alessandra Mastronardi e il nervoso idealista Flavio Parenti, che si chiama – questo è proprio americano – Michelangelo. Per Allen gli italiani sono infatti, tutti, più o meno figli d’arte.