Tlemcen, nascita e sviluppo di un movimento musulmano
Siamo nel Maghreb, precisamente in Algeria, nell’ottobre 1966, poco dopo l’avvenire dell’indipendenza della nazione (nel 1962). Siamo in un mondo musulmano, con una presenza cristiana che da 60.000 nel 1966 verterà sui 5.000 fedeli all’inizio del terzo millennio: proprio meno che una minoranza.
Il contesto globale
Il paese è nel 1966 in piena fase di modernizzazione, affascinato dalla modernità occidentale e gran produttore di petrolio e gas, con problemi di ristrutturazione del mondo agricolo, una popolazione giovane e un alto tasso di nascite, con uno sviluppo industriale insufficiente per colmare le aspettative di occupazione delle nuove generazioni, anche se non ci sono persone del posto preparate per ricoprire tutte le mansioni rimaste scoperte dopo la partenza in massa dei francesi che hanno abbandonato il Paese all’indipendenza. Una società che si struttura in presenza di un esercito forte ed élite sociali che nella ricerca di una loro identità si riferiscono ai Paesi con una politica di tipo socialista e solo negli ultimi tempi ricorrono – almeno in parte – a un discorso identitario “islamico”.
L’Islam algerino non è reputato di grande spessore culturale e di peso nel mondo musulmano. La religiosità è più di tipo popolare e assai aperta allo straniero, ma è soprattutto lontana negli anni ‘60 dalle correnti più esclusivamente identitarie – tipo wahabitista per esempio -, e anti-occidentali. Tutto questo, però, nel corso degli anni ‘80 cambierà e scombussolerà gli equilibri esistenti nel panoram socio-religioso.
Gli agenti principali
In questo contesto s’inserisce in quell’epoca il Movimento dei Focolari, legato alla Chiesa cattolica, e la presenza cristiana in generale. Siamo nei primi anni di espansione del Movimento fuori Europa. L’Algeria rappresenta il suo primo confronto con il mondo musulmano, e la sfida è quella di trovare la strada per portare il carisma dell’unità anche nei rapporti tra musulmani e cristiani. Ecco il sogno, l’utopia focolarina: la certezza che Dio vuole la fraternità degli uomini. Ma ma in quel momento a quel sogno non corrisponde ancora niente di concreto, di realizzato. Solo qualche musulmano, incontrando i Focolari in Europa, li invitano, convinti che ci sono abbastanza punti di aggancio tra la religiosità musulmana fortemente collettiva e l’esperienza comunitaria focolarina.
La proposta concreta per stabilirsi in Algeria arriva da un benedettino, dom Walzer, fuggito davanti al pericolo hitleriano, perché fu uno dei primi a denunciare nel 1933 i rischi che la Germania correva con la vittoria dei nazional-socialisti. Walzer ha sognato qualcosa di analogo al sogno focolarino, ma il suo progetto, concretizzatosi a Tlemcen con una casa (convento) di incontro e ospitalità, sta per scomparire, essendo lui ormai in fin di vita e senza successore. La proposta va incontro perfettamente all’intenzione profonda dei Focolari: aiutare questo mondo a moltiplicare le esperienze di fraternità reale.
Difatti, i Focolarini non intendono in nessun modo convertire alla propria religione. Essi vogliono, invece, scoprire insieme le strade di una più profonda convivenza tra musulmani e cristiani. In questo loro orizzonte di interpretazione del bene comune, si trovano in profonda sintonia con la Chiesa algerina che, sulla scia di uno delle sue grande figure, Charles de Foucauld, persegue un modo di presenza non invasivo presso il mondo musulmano. “Qui in Algeria non si può presentare il cristianesimo se non attraverso l’amore fraterno e l’unità vissuta”, dirà ai focolarini il cardinale Duval di Algeri al loro arrivo nel 1966. Un discorso così profondamente in sintonia con il loro spirito, i focolarini potevano solo sognarlo.
Il loro inserimento nella società civile potrà contare anche su una figura storica della società algerina, padre de Bérenguer, domenicano, che diventerà un membro del Movimento. Come religioso cristiano si era opposto al regime coloniale ed era diventato per un certo tempo, come “eroe” nazionale dell’indipendenza, ministro degli Affari esteri del giovane governo. La sua alta figura, da tutti rispettata, proteggerà sempre l’esperienza dei Focolari e aiuterà a trovar fiducia nelle autorità civili.
Il terzo protagonista è il popolo musulmano algerinodi cui abbiamo già specificato il carattere popolare e aperto.
Da un ceppo cattolico un frutto musulmano
Arrivati a questo punto facciamo un salto e arriviamo ai risultati dopo quasi mezzo secolo di presenza del Movimento dei Focolari in Algeria[1]. Anche se con proporzioni modeste quanto a cifre assolute, il risultato è sorprendente. Come esito di un lungo processo sociale ci troviamo davanti all’esistenza di un Movimento dei Focolari musulmano, profondamente radicato nella realtà globale dei Focolari, ma impegnato anche in un processo di radicamento nella realtà islamica, che presentando il volto di un Islam che ha trovato un modo positivo e fraterno di coniugare identità e apertura.
Come mai un ceppo cattolico può dare un frutto musulmano? Questo fatto rappresenta una novità inedita, qualche barriera plurisecolare qui è saltata! Più che rappresentare un fenomeno sociale di massa, bisogna guardare piuttosto la sua importanza sul piano simbolico! È come se assistessimo ad una mutazione genetica. Una linfa cattolica fa crescere un albero musulmano!
In una prospettiva storica assistiamo a una vera novità. I domenicani in Algeria, i missionari d’Africa, i Fratelli di Foucauld sono mai arrivati a un tale risultato? Hanno messo insieme attorno a sé un alone di musulmani che condividevano da musulmani lo spirito di Domenico di Guzman, di Lavigerie, di Charles de Foucauld?
Se si considera la presenza più che centenaria nella Chiesa algerina di vari ordini religiosi di gran rilievo, con persone culturalmente e profondamente preparate, che conoscevano la lingua, che hanno portato tanto a questo Paese nell’educazione scolastica e nelle cure ospedaliere, bisogna dire che il risultato non è però mai stato di questo tipo: non hanno mai sviluppato quello che i Focolari sono invece riusciti a fare con mezzi molto più modesti e in pochi decenni.
Ovviamente bisogna paragonare il paragonabile. La Chiesa algerina non ha mai avuto come missione quella di sviluppare una corrente islamica. Forse solo dopo il Concilio Vaticano II si poteva iniziare a pensare a una cosa del genere, perché solo a partire da questo momento nasce la possibilità del dialogo interreligioso.
E non si può dimenticare che, ben prima dell’arrivo dei Focolari, presso tanta gente musulmana gli uomini della Chiesa cattolica e tanti altri cristiani godevano della stima personale, dell’amicizia, perfino per qualcuno della venerazione per l’eccezionale statura morale e religiosa. Un capitale di simpatia tra musulmani e cristiani esisteva dunque e i Focolari ne hanno approfittato in pieno.
Ulisse Caglioni
A questo punto, bisogna sottolineare che tutto questo è nato dalla vita. I Focolari arrivano in Algeria a Tlemcen, città vicina a Oran e alla frontiera del Marocco, nell’ottobre del 1966, ricevendo dai padri benedettini il convento già citato, dove vanno ad abitare in tre. Nel Paese hanno appena qualche amico musulmano che ha conosciuto i Focolari in Europa. Il legame iniziale è dunque debole.
Ulisse Caglioni è uno di loro e vi è rimasto fin quasi alla sua morte nel 2003. Egli impersona la storia collettiva più di chiunque altro. L’intuizione è di instaurare rapporti fraterni con i musulmani, come scrive Ulisse: “Dare continuità ai rapporti con loro, che fino a questo momento, erano stati solo occasionali”. C’è dunque ben un progetto, ma poco o niente di calcolato, più intuizione che un programma articolato.
Certo, i focolarini sono accolti benissimo dalla Chiesa locale, ma questo fattore funziona solo come una pedana di lancio. La Chiesa, impegnata in un dialogo rispettoso con il mondo musulmano, sosterrà sempre i Focolari di questo sforzo. Ma concretamente, c’è quasi tutto da fare. Anche se la popolazione reagisce positivamente alla venuta di un nuovo gruppo di “uomini di Dio”, ed “esprimono una grande speranza”. Tutti concordano nel dire che Ulisse sarà l’uomo della situazione, si integrerà in modo ammirabile, e si farà apprezzare in un ambiente che in verità sembra, malgrado la diversità, connaturale ai suoi talenti umani e lo stile di vita cristiana che ha fatto suo.
Lui non è neanche il primo responsabile della prima squadra, è meccanico, un uomo con le mani d’oro, parla appena da un anno il francese, ma le testimonianze sono concordi nel considerarlo un tipo dal cuore largo e di pochi discorsi. Un tipo che sente intuitivamente come vivere con il popolo algerino, gente semplice, ospitale, dalla religiosità reale ma poco elaborata, che ha bisogno di vedere concretamente di che pasta sei fatto prima di stringere rapporti.
Dai numerosi aneddoti sembra che Ulisse corrisponda nel ricordo dei suoi amici algerini a un tipo generoso, che non calcola, per il quale chi ognuno che incontra è unico, singolare. Un esempio raccontato da sua sorella Gemma: “Ulisse aveva conosciuto Djamila, giovane signora di una famiglia di beduini, molto povera e priva del necessario per vivere. Quando la mamma si è ammalata gravemente, si è preso cura di lei. Abitava vicino al focolare, perciò poteva andare a trovarla tutti i giorni. Manteneva frequenti contatti con il medico e restava accanto a lei di giorno e di notte senza risparmiarsi, fino a che la mamma è guarita. Si è occupato poi dei figli, che rischiavano di morire di fame”.
Uno dei compagni di Ulisse annota: “C’erano tanti aspetti che, secondo la nostra mentalità, non si potevano condividere: la netta inferiorità attribuita alla donna; la famiglia stessa non basata sull’idea dell’amore reciproco degli sposi… Non eravamo abituati al confronto con una cultura così diversa dalla nostra. Abbiamo dovuto fare, quindi, una conversione profonda. Ulisse era maestro in questo e ci aiutava, con il suo esempio, ad accettare l’altro così come era, senza esigere niente. Abbiamo cominciato a guardare a questo mondo non più con i nostri schemi, ma con i loro occhi, senza giudicare, puntando solo al positivo e a ciò che ci univa”.
Ulisse ha solo 23 anni nel 1966. Anche più tardi, nei periodi più difficili della storia algerina, è ben cosciente della situazione, ma si mostrerà anche capace di trascendere la situazione, e trascinare i suoi amici in questa capacità di non farsi imprigionare dalle circostanze pur tragiche degli anni ‘90: Scrive una musulmana, vicinissima ai Focolari: “L’amore di Ulisse per Dio e quello che dimostrava per la nostra terra era molto più forte della paura e della violenza. Per sostenerci, sdrammatizzava quanto succedeva ogni giorno attorno a noi e lo faceva soprattutto attraverso il suo comportamento. Guardandolo avevamo l’impressione che non esistesse terrorismo attorno a lui”.
Rapporti semplici
i. Lui stesso scrive nel 1967: “Se un dialogo si aprirà, sarà perché cominceremo ad ascoltare e a servire Dio in questi prossimi”.
Racconta un altro dei compagni: “I rapporti con i musulmani sono nati soprattutto attraverso questi contatti semplici che si potevano avere con i vicini, con il negoziante, con il muratore… Rapporti personali che Ulisse coltivava con cura, come pure gli altri suoi compagni insegnanti, attraverso i loro alunni. Gérard Denis, maestro di musica, aveva un gruppetto di allievi che sono rimasti incuriositi dal suo modo di essere, dal suo atteggiamento nei loro confronti e dalla profonda comunione che ‘questi italiani’ avevano tra loro. È subito scattato un’amicizia autentica e, alla fine degli anni ’60, diversi ragazzi hanno preso contatto con il focolare”.
L’agire cristiano non è un sentimento, uno stato d’animo, un’intenzione: è prima di tutto una vita vissuta. Nel racconto di uno dei giovani musulmani, Farouk Mesli, si capisce che la prassi non esclude poi questi elementi, ma che il rapporto di comunione, nasce dalla vita concreta: “Andavamo spesso a trovare questi giovani cristiani; imparavamo dei canti, facevamo qualche lavoretto, ma i momenti più belli erano quando ci scambiavamo impressioni ed esperienze. Allora i nostri rapporti diventavano profondi, ognuno era pronto ad ascoltare e ad accogliere l’altro. Questo ci portava ad una vita di gruppo così straordinaria, da restarne presi; ognuno era sicuro di poter contare sugli altri e la cerchia degli amici si allargava ogni volta di più”.
Innumerevoli ancora gli esempi dell’agire concreto di Ulisse e dei suoi compagni. Testimonia Didier Lucas: “Con Ulisse non si facevano tanti discorsi, bastava la vita. Ci si capiva subito, non esistevano problemi, né difficoltà. Una cosa che sempre mi colpiva era che per il fratello si dava tutto e dimenticava il resto. Anche se c’erano altre cose da fare, che io ritenevo importanti, per esempio un incontro da preparare, egli posponeva sempre ogni cosa: gli premeva fare contento il fratello. A volte alle otto di sera, andavamo nel garage a riparare una macchina e vi restavamo fino alle due di notte. Non si badava ad orari, perché Ulisse era fatto così, ma anche perché voleva soddisfare quella persona che gli aveva chiesto il favore. Restavo sempre più ammirato nel vedere come non avesse mai un momento per sé”.
Chiara Lubich si esprime così nei giorni dell’agonia di Ulisse: “Come dicono i nostri amici musulmani… ha potuto diventare un ponte fra il cristianesimo e l’islam”. E il presidente musulmano dell’associazione giuridica del Centro dove visse Ulisse dice ai funerali: “Ne hai fatto un’oasi di pace, un luogo di incontro, di dialogo e di spiritualità… Sei stato un esempio magnifico di coerenza. E così hai conquistato il cuore di centinaia di algerini, che ti hanno conosciuto e ti hanno imitato… Mio caro Ulisse, la tua missione continuerà e sarà in buone mani”.
Nuova luce
Quando le Torre Gemelli sono crollate, il mondo intero si è reso conto del difficile incontrotra Occidente e Islam. I Focolari si ritrovano così con la loro esperienza positiva al cuore di un macro-problema sociale. Anche se rimane ancora un fatto più simbolico che una prassi globalmente accettata, a più di un osservatore la realtà del Movimento dei Focolari in Algeria creativamente la sfida del dialogo in un’esperienza di fraternità.