Tira e molla, chi vincerà?

Incertezza e timore di derive violente, ma anche grande speranza. La rivoluzione riprende il suo corso
Proteste in Egitto contro il presidente Morsi

I giornali italiani ed europei parlano di un Egitto nel caos, di situazioni incontrollabili, di muro contro muro, di morti e assalti, ripicche e violenze gratuite. In parte ciò è certamente vero, anche se – ci dicono dal Cairo le nostre fonti – si pone troppa enfasi sugli incidenti, che oscurano il clima di enorme giubilo che attraversa le strade del Cairo e delle altre grandi città egiziane. In effetti la gente lavora durante la giornata, torna a casa e, verso le sei, esce con tutta la famiglia e si dirige verso il centro delle città, cioè verso i luoghi di adunata, sentendosi tra l’altro protetta dall’esercito che vigila sugli avvenimenti con la tranquillità degli habitué del potere. C’è il senso, come ha anche affermato il patriarca copto-ortodosso Tawadros II, che il popolo «si riprende in maniera pacifica la rivoluzione che gli è stata rubata».

Certo, accanto all’esultanza le incertezze sono tante e gravi: in folle oceaniche come quelle che si riuniscono attualmente è facilissimo che si infiltrino guastatori e anche terroristi; sia la Fratellanza musulmana che l’esercito hanno detto di essere pronti al martirio per l’Egitto; il presidente Morsi non vuole mollare, e anzi, in un lunghissimo discorso notturno, discretamente noioso, ha riaffermato la legittimità costituzionale della sua presidenza, intimando all’esercito di ritirare l’ultimatum espresso a presidente e opposizione per trovare un accordo. Morsi appare sempre di più il portavoce, nemmeno tanto influente e tempestivo, di una lobby dei Fratelli musulmani che in realtà dietro le quinte gestisce il potere; e certamente la corruzione pare un male veramente trasversale al Paese, e quindi ci si può interrogare anche su coloro che eventualmente prenderebbero il potere al posto dell'attuale presidente…

Nel frattempo l’opposizione ha trovato il suo portavoce unico, quell’El Baradei che, già premio Nobel, già uomo dell’Onu nei negoziati con l’Iran, appare rassicurante anche per i Paesi stranieri. L’esercito moltiplica i segni di distensione verso la popolazione e di durezza verso i governanti. Di nuovo i militari paiono la sola forza di garanzia presente sul territorio e nell’economia: cercano di influenzare la vita pubblica apparendo il meno possibile.

S’attende ora lo scadere dell’ultimatum e si vedrà che cosa farà l’esercito: non è improbabile tuttavia che sospenda la controversa Costituzione promulgata in dicembre; che nomini un “consiglio presidenziale” composto anche da civili; che esautori Morsi; che convochi nuove elezioni dopo sei mesi o un anno.

Su tutto una certezza: il “referendum popolare” più autentico degli ultimi anni è stato quello di domenica: poche centinaia di migliaia di persone alle manifestazioni dei Fratelli musulmani e 12 milioni nelle piazze per la cacciata del presidente. Con 22 milioni di firme raccolte dai “ribelli” contro il presidente, che ribaltano i 17 milioni di voti che hanno portato Morsi alla presidenza un anno fa.

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