Tintoretto a Roma

Per la prima volta una tela del grande artista veneziano ai Musei Capitolini. Fino al 3 dicembre.

Non perdersi Jacopo Tintoretto. In vita non è mai stato nella capitale e quasi mai si è mosso dalla sua Venezia dove ha dipinto in quasi tutte le chiese con il suo furore anticonformista che lo rendeva inviso a Tiziano. Invece, dopo secoli, una sua tela “La deposizione di Cristo” è stata prestata dalle Gallerie dell’Accademia veneziana ai Musei Capitolini, dove la si può contemplare fra le opere del figlio Domenico, del Veronese, del Bassano e il triste Balestriere di Lorenzo Lotto.

In verità la vasta tela è a mezza strada tra una Deposizione e un Compianto e ciò già fa comprendere la sua originalità. Del resto, essa esprime il clima della Riforma cattolica, della devozione  alla Passione di Cristo, dell’arte intesa come preghiera. E Tintoretto, da uomo religioso come era, lo dice in una maniera commovente. Dipinta verso il 1562 per un altare della prima chiesa dei Gesuiti a Venezia, santa Maria delle Zattere, è stata solo da poco ritrovata nei depositi e restaurata, rivelandosi un capolavoro di pathos religioso.

Certamente, a livello stilistico si osserva il debito di Tintoretto verso Michelangelo nella plasticità dei personaggi, ma originale è l’impostazione di una preghiera corale di un dolore vero e profondo diviso in due parti. A sinistra le figure del Cristo e di Giovanni, a destra le tre donne: la Maddalena in corsa a braccia spalancate (una bellezza bionda veneziana), Maria di Cleofa che sorregge la Vergine pallidissima appena svenuta dopo avere toccato il Figlio.

Il colore è caldo, le ombre forti, precaravaggesche ma non violente anzi sfumate, dando spazio alla luce che si ferma sul corpo ampio e ferito del Messia dal volto giovanile nascosto e su Maria, bianca in volto per il dolore acuto e sorretta dalla donna nella sua ”morte spirituale”.

La tela diventa una contemplazione di due morti: quella fisica del Cristo e quella dell’anima della Madre. Le cinque grandi figure dalle tinte dense (rosso e bianco) e date a frecciate fulminee, com’è del pittore, campeggiano come scolpite nel coro doloroso e muto, eco di un pianto soffocato fin quasi a morirne.

Emerge il dolore del Figlio e della Madre il cui corpo si intreccia con quello di Gesù formandone una croce: è la com-passione che l’arte religiosa del tempo esigeva e che Tintoretto con animo commosso e drammatico ci comunica. La tela diventa dunque nella piccola sala dei pittori veneti un monumento di alto pathos religioso, come un libro aperto sulla vista e sul cuore dell’osservatore e del fedele a contemplare un dolore-amore che pare infinito, universale e fortissimo.

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