Tintin
Uno dei personaggi più amati in Europa arriva sul grande schermo nel film 3D di Spielberg.
«Tintin sono io», proclamava orgoglioso Georges Prosper Remi, in arte Hergé, creatore del celebre fumetto. Ma più che sé stesso, Tintin rappresentava per il belga Hergé il suo sogno: eternamente giovane, candidamente buono, puro di cuore. Hergé era geniale, genialissimo, ma aveva poco della lievità di Tintin: uomo dalla personalità contraddittoria e sofferta, spesso vittima della depressione, sempre oberato dal lavoro, intasato dalla sua stessa prorompente creatività, passava periodi di assoluta repulsione verso i suoi personaggi.
Per la sua partecipazione agli ambienti della destra cattolica fu accusato nel dopoguerra di collaborazionismo coi nazisti. In realtà egli aveva solo disegnato strisce a fumetti su una rivista per bambini, ma rischiava il carcere. Fu salvato dalla testimonianza d’un noto partigiano che amava Tintin e voleva fondare un settimanale con le sue storie.
In comune con il suo personaggio, Hergé aveva l’immensa curiosità e la passione per i viaggi: «Mi sono messo a viaggiare per scoprire altri modelli di vita, altri modi di pensare: insomma, per allargare la mia visione del mondo».
Tintin nasce all’ombra d’un campanile, in ambiente cattolico. Un certo abate Wallez s’accorge del talento del giovane Georges Prosper Remi e s’adopera per coltivarlo, perché i disegni e le storie del futuro Hergé hanno un notevole impatto sui più giovani. Così nel 1929 inizia l’avventura di Tintin sulle pagine del quotidiano cattolico Le Vingtième Siècle. Il successo è subito grande. Le appassionanti e avventurose vignette sono disegnate con l’inconfondibile tratto pulito, limpido e netto che fece poi scuola.
Presto però Georges s’affranca dalla forte guida dell’abate Wallez – il cui interesse fondamentale era quello di portare un “messaggio” ai bambini – e dà la sua impronta personale alle strisce che scaturiscono dalla sua penna e dalle sue matite. Nascono le grandi storie che appassioneranno tanti ragazzi: il simpatico reporter Tintin, capelli rossi e inconfondibile ciuffo alzato, e l’inseparabile piccolo terrier bianco Milù s’imbattono in ogni serie d’avventure, in ogni parte del mondo, per smascherare spie, falsari, trafficanti di droga e di schiavi.
Le avventure di Tintin riflettono spaccati di storia del secolo scorso: lo troviamo tra i primi soviet e nella repubblica di Weimar, nel Congo coloniale belga e tra i dittatori sudamericani, tra gli indiani d’America e nella guerra tra Cina e Giappone, persino sulle montagne della Luna. Tintin era così legato al suo autore, che dal 1983, quando morì Hergé, non furono più realizzate altre storie. In Italia Tintin non ha avuto l’enorme successo che ebbe nell’Europa del Nord, anche se ha sempre contato su un nutrito numero d’affezionati. La prima edizione italiana di Tintin è del 1955 ma dura assai poco, poi le sue storie sono pubblicate a puntate sullo storico diario Vitt, erede del Vittorioso: chi a quei tempi bazzicava negli oratori se lo ricorda bene.
Pur nella loro perenne freschezza, i fumetti di Tintin possono oggi apparire come lasciti d’altri tempi. Ormai siamo abituati ad altro. Tintin non ha nulla né di Indiana Jones né di Homer Simpson: è sempre angelico, non gioca mai sporco, non ha tratti spigolosi nel carattere, non si concede alcun vizio, alcuna bassezza o volgarità, non fa nulla di stupido o irresponsabile. È sempre pulito.
Può apparire poco umano, troppo perfetto; appena un po’ gli fa da contraltare il compagno di peripezie Capitan Haddock – quello di «per mille sabordi!» –, l’ex lupo di mare dalla fitta barba nera che non disdegna l’alcol e s’inventa un’imprecazione colorita dopo l’altra.
Apprezzare oggi le storie di Tintin è come concedersi un signor pasto in una trattoria di campagna rinomata per la buona cucina casalinga, invece d’un pur succulento hamburger e patatine da McDonald’s. Sono storie che concedono poco alla fretta, all’emozione spiccia: sanno divertire ma anche far riflettere, scelgono la profondità dei gesti e delle parole, di valori quali l’onestà, l’amicizia, la dignità. Poggiano sulla certezza della vittoria del bene. Nell’apparente semplicità, hanno una straordinaria potenza espressiva nei disegni, e nel racconto s’elevano spesso ad autentiche saghe letterarie d’alta levatura. Al nostro palato, che anche in campo di fumetti s’è fatto così avido d’emozioni frettolose, non può che far bene immergersi di nuovo nei tempi di Tintin. Per farci ancora coinvolgere dal candore della sua leggerezza.