Tina Anselmi. La grazia della normalità
“La grazia della normalità” così le aveva intitolato un servizio per Rai storia Anna Vinci, giornalista e grande amica di Tina Anselmi. Mai titolo fu più appropriato.
“Guarda che se non impari a degustare il vino, non puoi fare campagne elettorali” fu la prima frase che mi rivolse. Aveva chiamato noi giovani candidate della Democrazia cristiana, da tutti i collegi vicini a casa sua, per darci qualche consiglio. Voleva che sfondassimo, perché diceva: “Quando le donne si sono impegnate nelle battaglie le vittorie sono state vittorie per tutta la società. La politica che vede le donne in prima linea è politica d'inclusione, di rispetto delle diversità, di pace".
La sua visione della vita e della politica era “comunitaria”. Aveva definito il cambiamento del diritto di famiglia negli anni ’70, voluto fortemente assieme alle altre donne di allora, come il passaggio da “una visione patriarcale ad una visione comunitaria del diritto”.
Aveva 17 anni quando, con tutta la popolazione del paese di Bassano dove studiava, fu costretta dai fascisti ad assistere in viale Venezia – oggi viale dei Martiri – all’impiccagione di 43 partigiani: un albero, un impiccato. Lì davanti a quei 43 giovani corpi e nella discussione che ne seguì alla riunione delle giovani dell’Azione Cattolica, decise di entrare nella Resistenza come staffetta partigiana. In tutto ciò che fece, allora come nel suo lungo variegato impegno, fu sempre spinta dalle stesse motivazioni: “un misto di istinto e di ragione e la mia risposta istintiva avrebbe trovato sempre un terreno fertile nei miei valori, nei miei studi, nel mio forte senso di appartenenza alla mia comunità. Era il desiderio di vita e di costruire un mondo migliore che ci costringeva a scegliere".
Cito un passaggio del suo bellissimo libro autobiografico Storia di una passione politica – La gioia condivisa dell’impegno per capire il suo modo di procedere nelle scelte politiche: “Il progresso è quando si dà un anima alle leggi e si crea consenso sostanziale: la legge deve essere un approdo, non una scorciatoia. Solo così una nazione non si sente estranea alla propria classe dirigente.”
Molte sono le imprese per cui sarà ricordata e studiata come “madre della democrazia italiana”: a lei, mentre era ancora in vita, è stato dedicato un francobollo.
Io, però, voglio soffermarmi su quello che ritengo il suo principale merito e che le valse l’interruzione immediata della sua carriera governativa fino allora degna delle sue qualità: l’accettazione della presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2. Glielo chiese Nilde Iotti. Si stimavano molto, anzi – lo posso testimoniare – erano amiche. Lei pretese qualche minuto per pensarci, si consultò con Leopoldo Elia, altro grande della nostra democrazia che la incoraggiò ed accettò, senza più tirarsi indietro, nemmeno davanti alla bomba che le scoppiò davanti casa a Castelfranco.
Ho avuto io stessa la dimostrazione di quanto lei, con la sua determinazione e incorruttibilità, fosse diventata uno spartiacque in Italia tra chi era democratico e chi sceglieva altri modi per governare il paese. Mi fu ventilata la possibilità di entrare nel settimo governo Andreotti e mi fu chiesta una sola condizione: trovare il modo – a me era lasciata la scelta – per marcare pubblicamente la mia distanza dalla Anselmi. Questo non mi era possibile, lei mi aveva testimoniato che scindere i mezzi dai fini faceva perdere la politica e mi aveva spesso ripetuto una frase di Moro, suo maestro: “La verità possono cercarla solo quelli che hanno la capacità di sopportarne le conseguenze”.
“Non si poteva non amare Tina Anselmi” ha affermato Carlo Smuraglia, presidente dell'Anpi. Il coro è unanime. Emma Bonino: "Era molto attenta alle diversità e di grande umanità." Dacia Maraini: “Era una donna molto attiva, non si tirava mai indietro, era curiosa, molto attenta.” “Sempre in prima linea nelle battaglie per il rispetto dei principi costituzionali” così Giorgio Napolitano.
In quanto a me, ricordo come fosse ora il guizzo che si fermava tra le rughe della sua ampia fronte quando lanciava una delle sue simpatiche battute ironiche che testimoniavano il suo modo di concepire l’impegno: “una gioiosa condivisione”.