Timori e rassicurazioni sul rischio nucleare in Ucraina

Intervista a Pier Giorgio Pescali, ricercatore scientifico e giornalista di inchiesta, a proposito del pericolo nucleare della centrale di Zaporizhzhia al centro dei combattimenti tra russi e ucraini.
Rischio nucleare in Ucraina Foto La Presse

Si parla molto in queste ore del grave pericolo legato alla sicurezza relativa di Zaporizhzhia, quella che viene definita la più grande centrale nucleare d’Europa, ora al centro del conflitto tra le truppe russe e quelle ucraine con reciproco scambio di accuse. Questo il link al quadro della situazione offerto dall’Istituto nazionale italiano per la sicurezza nucleare.

Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha detto che «qualsiasi potenziale danno a Zaporizhzhia è un suicidio», dopo aver incontrato a Leopoli il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan.

Allo stesso tempo il segretario all’Energia statunitense ha detto che i rischi sono molto remoti perchè le nuove centrali sono progettate per resistere anche in caso di gravi disastri. Minimizzano anche i nuovi sostenitori del nucleare civile affermando che non esistono rischi di detonazione.

Sulla questione abbiamo sentito Pier Giorgio Pescali, ricercatore scientifico e giornalista d’inchiesta, che ha scritto nel 2022 un libro proprio sulla questione del rischio nucleare in Ucraina. Lo abbiamo raggiunto mentre si trova in Corea del Nord. Pescali è, infatti, uno dei pochi conoscitori diretti di questo Paese asiatico.

Quale è il suo parere sulla situazione a Zaporizhzhia?
Non è solo il segretario dell’Energia statunitense a dichiarare che la centrale di Zaporizhzhia ha un grado di sicurezza elevato, ma la stessa IAEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica). I dirigenti dell’agenzia internazionale hanno sempre sostenuto che tecnicamente la centrale nucleare non si è mai trovata in uno stato di pericolo in qualunque fase della guerra. La frase di Mariano Grossi (direttore generale dell’Agenzia, ndr) che ha scatenato le paure espresse poi nei media, in realtà era inserita in un contesto ben diverso che intendeva affermare che la centrale di Zaporizhzhia era “fuori controllo dell’IAEA”.

Ciò che Grossi ha inteso affermare (ribadendo in seguito il concetto) è che l’agenzia internazionale non può più sostenere di sapere cosa stia accadendo all’interno del sito. Questo perché è dal 4 marzo 2022 (giorno in cui le forze russe hanno preso il controllo della centrale) che gli ispettori dell’IAEA non hanno la possibilità di verificare le operazioni che si stanno svolgendo all’interno del sito (gestione del materiale nucleare, sicurezza dei lavoratori, corsi di aggiornamento, invio di materiale di scorta e ricambi, etc). Ogni centrale nucleare deve essere visitata periodicamente da squadre di esperti internazionali: quando questo non accade (come nel caso di Zaporizhzhia) la centrale viene automaticamente catalogata come “fuori controllo IAEA”, senza per questo intendere che sia in procinto di creare problemi.

Ma può accadere comunque un incidente nucleare?
Causare deliberatamente un incidente nucleare, con le misure di sicurezza attive e passive imposte dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima, non è cosa semplice come potrebbe apparire a prima vista. Il reattore è difeso da una tripla protezione: un involucro di acciaio spesso 19 cm inserito in un contenitore di calcestruzzo rinforzato dallo spessore di 1,5 metri e il tutto riparato da un terzo muro, anch’esso di calcestruzzo rinforzato di un metro di spessore. Solo questo garantisce una protezione da missili convenzionali, anche potenti, già al primo strato. Inoltre, vi sono misure di sicurezza attive (azionate dall’uomo) e passive (che intervengono automaticamente) che tutelano l’affidabilità del nucleo. L’incidente perfetto è avvenuto a Fukushima perché la natura, con le sue possenti forze e le energie immani sprigionate, è riuscita a impedire all’uomo di arginare i danni subiti in un tempo sufficientemente breve. Riproporre tali condizioni estreme da azioni umane è molto difficile: occorre perfetta organizzazione, dispiegamento possente di uomini, mezzi, finanziamenti e realizzare una catena di eventi assai difficile che si concatenino l’uno con l’altro senza interruzione.

Meno difficile sarebbe creare un incidente che coinvolga le piscine di stoccaggio del combustibile esausto o il deposito a secco di materiale radioattivo, entrambe presenti a Zaporizhzhia. Anche in questo caso, però, occorre un’azione deliberata che escluda contemporaneamente tutte le funzioni elettriche, i generatori di emergenza e il flusso passivo dei circuiti di emergenza (cosa particolarmente complicata da fare). Anche in questo caso le fughe sarebbero minime e coinvolgerebbero una porzione assai limitata di territorio e popolazione.

Non dimentichiamo inoltre che i reattori delle centrali ucraine (e le stesse centrali) sono di fabbricazione russa e quindi la Rosatom (l’agenzia atomica russa) non ha nessun vantaggio nel creare un incidente, pena il rischio di perdere contratti in essere per 250 miliardi di euro. Senza contare poi che un’eventuale fuga radioattiva non è controllabile e sarebbe in balìa dei venti; quindi, potrebbe colpire le stesse popolazioni russe.

Si può considerare inevitabile, a suo parere, il ritorno su larga scala del nucleare civile considerando anche quanto accaduto in Europa con il voto sulla tassonomia verde?
Sono ormai diverse le agenzie che si occupano di energia e di riscaldamento climatico che considerano il nucleare una forma di energia necessaria per la transizione energetica. Tra queste non solo le agenzie europee, ma la stessa IPCC, il forum dell’ONU che raggruppa i più autorevoli scienziati nel campo energetico e climatico.

A mio parere bisognerebbe iniziare a ragionare in termini europei e non più nazionali. In mancanza di un consenso internazionale sulle politiche da perseguire per contrastare il cambiamento climatico, occorre che le istituzioni esistenti su territori, seppur limitati, si diano delle agende comuni. L’Unione europea può, in questo senso, diventare un esempio per molte altre organizzazioni internazionali. Ogni nazione dell’UE nel passato ha scelto di perseguire una politica energetica propria; la Francia e la Finlandia hanno scelto il nucleare, la Norvegia (seppur non appartenete all’UE) l’energia idroelettrica, la Danimarca l’eolico e così via. L’auspicio è che tutte queste nazioni contribuiscano a creare un network energetico che garantisca ai Paesi dell’Unione un approvvigionamento comune. Al tempo stesso, Paesi che oggi si rivolgono al carbone e al fossile (come la Polonia e come la Germania che ha aumentato la produzione energetica da carbone per tamponare i buchi causati dalla chiusura delle sue centrali nucleari) devono iniziare a creare infrastrutture adatte a diminuire la propria dipendenza dalle fonti fossili.

È impossibile, quindi, puntare solo sulla cosiddetta energia pulita?
Nucleare e rinnovabili devono convivere almeno sino a quando non si riusciranno a trovare altre soluzioni che permettano di sopravvivere energeticamente. Una via è certamente la ricerca, sia nel campo delle rinnovabili, ma anche della fusione nucleare, di cui però non potremo usufruire almeno sino alla seconda metà del secolo.

Tengo comunque a sottolineare che non esiste dal punto di vista scientifico una energia “pulita” o di qualsiasi colore si voglia associare. Tutte le energie comportano un impatto ambientale. Sarebbe quindi più ragionevole parlare di energie a basso, medio e alto impatto ambientale, cancellando i sintagmi “energia pulita”, “Green o blu energy” che sono invece sono termini politici che non hanno alcun senso dal punto di vista scientifico. Anzi, socialmente sono termini pericolosi in quanto portano a far pensare ai consumatori che lo spreco di energia “pulita” sia ininfluente sia sul clima che sull’ambiente. Non è così.

L’Ucraina è stato l’unico Stato assieme al Sudafrica a dismettere l’arsenale nucleare bellico anche se ha investito in questa fonte di energia probabilmente per essere più indipendente da fonti esterne. Che legame esiste tra nucleare civile e uso militare?
Nonostante quello che si racconti, un reattore nucleare civile non può esplodere come una bomba e non può neppure essere utilizzato per proliferazione militare.

In nessun caso, neppure ipotizzando tutte le condizioni possibili e immaginabili, la fissione che si crea all’interno del cuore di un reattore nucleare civile può dare luogo ad una deflagrazione di tipo nucleare. Mai! E non è una questione tecnica, ma teorica della fisica nucleare.

In secondo luogo, il plutonio che si ricava dal combustibile esausto non è adatto ad essere utilizzato per bombe nucleari. L’Ucraina ha inoltre dismesso tutti i suoi impianti di arricchimento d’uranio che sono stati trasferiti in Russia (del resto non serve una centrale nucleare per arricchire uranio al di sopra del 90% per poter impiegarlo a scopi militari).

Eppure, nonostante le dichiarazioni ufficiali, non rappresenta forse un caso esemplare la capacità della Corea del Nord, Paese che lei conosce bene, di disporre di un arsenale nucleare in grado di dissuadere da attacchi esterni da parte degli Usa?
La Corea del Nord produce plutonio di grado militare dal suo reattore di Yongbyon perché è un reattore a grafite, realizzato proprio con lo scopo di estrarre questo tipo di isotopo e che oggi non viene più prodotto. Quindi il caso nordcoreano è un caso a parte nel panorama del nucleare a scopo civile.

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