Timori diffusi, altro che festeggiamenti

Mentre negli Stati Uniti la gente è scesa in strada entusiasta per la morte di Bin Laden, in Pakistan, Afghanistan e India le preoccupazioni sono di altro genere: una panoramica delle testate locali.
Pakistan

Mentre i giornali di pressoché tutto il mondo occidentale, americano in testa, aprono con lunghe fotogallery dei festeggiamenti per la morte di Bin Laden e immagini del suo covo – su tutti il New York Times, che mostra addirittura come le prime pagine dei quotidiani di ieri siano già esposte al Museo delle notizie di Washington per la gioia dei turisti – le reazioni della stampa dei Paesi direttamente interessati, manco a dirlo, non è esattamente la stessa.

 

I titoli di testa dei quotidiani pakistani The business recorder e The nation, ad esempio, recitano «I talebani locali minacciano attacchi dopo la morte di Bin Laden»: attacchi che sarebbero diretti in primo luogo non agli Stati Uniti, ma alle autorità pakistane. Queste peraltro, riferisce il Daily Mail, nonostante gli apprezzamenti del primo ministro per l’intervento statunitense sono piuttosto contrariate: la Camera alta del Parlamento, infatti, ha dichiarato di considerare tale intervento «un attacco diretto alla sovranità nazionale del Paese», deplorando il silenzio del governo su un fatto che «ha dato alla comunità internazionale un’ulteriore occasione per accusare il Pakistan di essere un porto sicuro per i terroristi».

 

Cosa che, in effetti, si è prontamente verificata: il ministro degli interni indiano ha infatti dichiarato che «l’India ha a lungo sostenuto che l’establishment pakistano sostiene i terroristi, visti come un’opzione strategica verso gli Usa e l’India». I due Paesi infatti, oltre che dalla decennale disputa sul Kashmir, sono divisi anche dal timore indiano che, dopo gli attacchi di Mumbai del 2008, lo scomodo vicino si riveli un focolaio di nuovi atti terroristici.

 

Dall’Afghanistan si è invece fatta sentire direttamente la voce del presidente Karzai: secondo quanto riferito dal Daily Outlook of Afghanistan, questi ha dichiarato che «il nostro Paese ha sopportato molti sacrifici nella lotta contro il terrorismo. Ora è definitivamente dimostrato che questa lotta non deve più essere portata avanti nei villaggi afghani, ma in quelli pakistani. Siamo pronti a cooperare, ma non vogliamo essere sacrificati o uccisi». Come dire, è ora che le forze armate straniere tolgano il disturbo, per quanto siano in molti a temere che – se davvero venisse anticipato il ritiro, previsto per il 2014 – le violenze esplodano di nuovo in un’area che rimane problematica: se Karzai ha definito Bin Laden «un assassino degli afghani» e alcuni cittadini abbiano dichiarato al Daily Outlook di considerarlo «un nemico non solo del mondo, ma anche dell’Islam», l’Afghan Daily riporta le affermazioni all’Indian Express del segretario del partito Hurriyat, Syed Ali Shah Geelani, che ha definito Bin Laden «un martire, che ha combattuto i disegni imperialistici degli Stati Uniti. Non abbiamo nulla contro il popolo americano, tanto che abbiamo condannato gli attacchi dell’11 settembre: ma condanniamo le politiche degli Usa, che da allora hanno massacrato molti musulmani in Iraq, Afghanistan, Pakistan e ora in Libia».

 

Nemmeno negli Stati Uniti, però, tutti sono scesi in strada a festeggiare: su Facebook, salito al rango di “termometro” dell’opinione pubblica, si leggono – da parte di utenti americani – post di segno opposto. Monica ha scelto una citazione di Martin Luther King: «Piangerò per la perdita di migliaia di vite preziose, ma non gioirò mai per una morte, neanche per quella del mio peggior nemico». Cory ha inserito il link alla dichiarazione di padre Lombardi, che ha affermato che «di fronte alla morte un cristiano non si rallegra, ma riflette sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a Dio e agli uomini». A quanto pare, oltreoceano si sente il bisogno di fermarsi a riflettere dopo l’entusiasmo: Melissa ha risposto al commento di Monica con un «Grazie. Aspettavo con ansia che qualcuno reagisse così».

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