Tim, il gigante buono

Secondo i medici non sarebbe neanche dovuto nascere, ora è uno degli atleti più famosi degli Stati Uniti. Per le sue imprese sul campo, ma soprattutto per la sua grande fede
tebow
Il sogno di giocare il Superbowl, l’atto conclusivo del campionato statunitense di football americano, per quest’anno non si è avverato. Sabato sera, nelle semifinali di conference, i suoi Denver Broncos sono stati fermati infatti dai favoritissimi New England Patriots, guidati da una vera icona di questa disciplina, il quarterback Tom Brady. Ma Tim è ancora giovane, e avrà la possibilità di riprovarci già dal prossimo anno. Intanto mezza America parla di lui, il ragazzo che è riuscito ad avere successo nello sport senza essere mai venuto meno ai valori cristiani che hanno sin qui contraddistinto la sua vita.

Il quarterback di Dio – Stiamo parlando di Tim Tebow, un ragazzone ventiquattrenne dalla faccia pulita (191 centimetri di altezza per 111 chili di peso), che il Wall Street Journal ha affettuosamente ribattezzato “Il quarterback di Dio”. Tim è certamente un buon giocatore, ma la sua notorietà è dovuta soprattutto «alla generosità ed al senso di giustizia che la sua fede gli ispira. Un ragazzo che illumina tutti con il suo esempio – sostengono diversi commentatori statunitensi –, siano esse persone religiose o meno».

Tim è un atleta che trascorre le proprie vacanze impegnandosi in missioni umanitarie in Asia, cita la Bibbia durante le interviste, sostiene campagne a favore del diritto alla vita, e quando i giocatori avversari lo provocano durante le partite sbeffeggiando la sua fede lui replica tranquillo: «Che Dio ti benedica!». Un piccolo “scandalo”, soprattutto in un campionato particolare com’è quello del football professionistico statunitense, dove pochi anni fa quasi un quinto dei giocatori risultava aver avuto precedenti penali di vario tipo. Conoscendo più da vicino la sua storia, però, non c’è da sorprendersi più di tanto …

Gli insegnamenti dei genitori – Tim è nato nelle Filippine, dove i suoi genitori, statunitensi, stavano prestando servizio come missionari cristiani. Durante la gravidanza mamma Pamela, a seguito di un’infezione dovuta a un virus causato da un’ameba, è entrata in coma. Con dei farmaci molto forti alla fine i medici sono riusciti a risvegliarla, ma gli antibiotici avevano causato un distacco della placenta privando così il feto dell’ossigeno e del nutrimento necessario. I medici consigliarono ai coniugi Tebow di abortire ma loro, nonostante il rischio di partorire un bambino già morto, decisero di portare avanti la gravidanza confidando nell’aiuto del Signore. Si trasferirono così a Manila, per avere cure adeguate, e alla fine Pamela diede alla luce suo figlio.

All’età di tre anni Tim è tornato negli Stati Uniti, dove ha iniziato presto a giocare a football. Ogni estate però la mamma portava lui e il resto della famiglia da papà Bob, rimasto nelle Filippine per prestare servizio in una missione che oggi ospita un orfanotrofio. «Quando si cresce negli Stati Uniti si pensa che quello sia tutto il mondo – afferma la signora Tebow –. Così, vedere da vicino che esistono bambini che mangiano tra i bidoni della spazzatura è qualcosa  che ha inciso profondamente nella crescita dei nostri ragazzi, un’esperienza che ha pesato nella formazione della loro personalità».

Da star del college a riserva nella NFL – Una volta arrivato all’Università della Florida, Tim è diventato in poco tempo uno dei giovani giocatori di football più apprezzati dei college statunitensi, tanto che, al suo secondo anno, si è aggiudicato l’Heisman Trophy, una specie di Pallone d’oro per i giocatori di questo sport a livello universitario. Nel frattempo la sua fama cresceva in tutto il Paese, sia per le imprese compiute sul campo che per la sua incrollabile fede, che non perdeva occasione di manifestare pubblicamente. Fino a che il regolamento non glielo vietasse esplicitamente, ad esempio, Tim usava scrivere dei versetti biblici nel grasso nero che solitamente i quarterback si spalmano sotto gli occhi per ridurre il riflesso del sole ed avere così una visuale migliore al momento del passaggio della palla ovale.

Nel 2010, è arrivato il momento del passaggio tra i professionisti della NFL. Scelto dai Denver Broncos, una squadra da tempo in crisi di risultati, l’inizio non è stato proprio quello che si aspettava: un intero anno relegato in panchina, ed un’accoglienza in squadra non certo amichevole (per fargli capire che il suo atteggiamento con quella fede così dichiarata non era gradito, i compagni un giorno gli hanno tagliato i capelli stile “frate in penitenza”). Lui non si è mai perso d’animo, e si è messo in paziente attesa del suo turno.

Si diffonde il “tebowing” –  Anche questa stagione per Tim non era iniziata bene. Fino a quando, alla quinta giornata di campionato, dopo l’ennesima cattiva prestazione del quarterback titolare, il suo allenatore non ha deciso che fosse giunto il suo momento. Da lì in poi Tim ha vinto 5 partite con delle rimonte spettacolari, di cui addirittura 4 nei tempi supplementari, ha trascinato la sua squadra ai playoff, un traguardo che solo alcune settimane prima sembrava impossibile, e nella prima gara della post-season ha portato alla vittoria Denver (ancora una volta ai supplementari) contro Pittsburgh, i vice-campioni uscenti. E la sua popolarità nel Paese è cresciuta ancora di più.

Ai giornalisti che oggi lo interrogano sul perché di alcuni suoi comportamenti “controcorrente” lui risponde semplicemente: «Sono solo uno che ama il prossimo e cerca di migliorare la vita degli altri».  Poi torna in campo, gioca (spesso vincendo), ma comunque vada la partita all’inizio e alla fine lo vedrete sempre mettere a terra il ginocchio destro, appoggiare il pugno della mano sinistra sulla fronte e mettersi a pregare. Magari per i bambini orfani o abbandonati delle Filippine e della Thailandia che, grazie a una fondazione da lui creata e che porta il suo nome, possono avere adesso la speranza di un futuro migliore.  È il “Tebowing”, cioè l’inginocchiarsi e iniziare a pregare anche se quelli che ti sono intorno stanno facendo tutt’altro. Un vocabolo “inedito”, coniato in suo onore, che sta cominciando ad apparire su alcuni vocabolari della lingua inglese. Un gesto che si sta diffondendo a macchia d’olio, e che sta contagiando migliaia di persone in tutto il Paese. Grazie a questo gigante buono.
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