Tik Tok, il social più amato dai giovanissimi
In principio fu Musical.ly, ora si chiama Tik Tok ma la sostanza è la stessa: il social più amato dai ragazzi dai 6 ai 13 anni, soprattutto ragazzine. Un social, anzi, una app, molto semplice, fatta di ritmo, musica, velocità e filmati ironico-demenziali ad alto tasso di dipendenza. L’app è disponibile in 34 lingue, ha ogni giorno 150 milioni di utenti attivi, 500 milioni sono gli utenti attivi mensilmente, e i numeri sono destinati a crescere ancora.
Il funzionamento è semplice ed immediato: si scarica la app, si decide se iscriversi o fruire dei contenuti senza iscrizione (nel primo caso è possibile impostare criteri di privacy più restrittivi) e come per incanto ci si ritrova immersi in un mondo di filmati brevissimi, da 10 a 60 secondi, che si susseguono in maniera frenetica.
Ogni utente può creare i suoi brevi clip utilizzando effetti speciali. Video di tutti i generi, anche se Tik Tok è principalmente un karaoke visivo dove basta scegliere il video di una canzone, uno spezzone di un film, ci si riprende mentre si incarnano le mosse, si fanno sketch, si doppiano i propri film preferiti. E poi si condivide il risultato, ovviamente. Gli utenti hanno la possibilità di esprimere apprezzamento per i video con un “cuoricino” o un commento e possono decidere di “seguire” gli altri utenti. I video si cercano per parole chiave o si può lasciare che sia l’algoritmo a mostrare quelli che ritiene più interessanti per l’utente, così che spesso ci si sposta da un video all’altro senza sapere che cosa si vedrà dopo, in una sorta di viaggio in loop la cui meta non è chiara. I video che non interessano possono venire rapidamente scartati facendo scorrere il dito verso l’alto per far posto al successivo.
L’effetto, per chi scrolla decine di video, è quello di una frenesia alienante. Così può capitare di imbattersi sempre nello stesso ritornello interpretato nei modi più disparati. Grazie a questo meccanismo negli Stati Uniti società come Muuser pagano gli influencer per spingere la popolarità di un motivetto e provare ad agevolarne lo sbarco su altre piattaforme più remunerative.
Tutto su Tik Tok sembra orchestrato per stimolare i ragazzi ad esporre il proprio fisico, la propria intimità, le proprie forme e movenze a tutti gli utenti imitando cantanti e influencer preferiti, e ad attivare, per questo, la ricerca della perfezione.
Il canone di bellezza standard che emerge sembra essere quello della ragazzina dai capelli lunghi, labbra carnose che danza sensualmente con un top, fascia e shorts.
Il punto di forza di questa app sono le “challenge”, le sfide settimanali che vengono lanciate per fidelizzare e catturare il pubblico, contribuendo a far tornare spesso i ragazzini sulla piattaforma. Un esempio tra tanti, la “shoes challange” (la sfida delle scarpe), dove i partecipanti si riprendono mentre provano il maggior numero di scarpe e vestiti in 15 secondi. A questo va aggiunta la possibilità di interagire in maniera innovativa, rispondendo attraverso una sorta di botta e risposta fatta di video e realizzando duetti replicando o reinterpretando il video fatto da un altro utente, portando così avanti la canzone e la scena da lui mostrata semplicemente citandolo.
Tik Tok attrae i più piccoli perché è dinamico e veloce, con uno standard completamente diverso dalla “lentezza” di altri social. Questo crea negli adulti una sensazione di stordimento, anche se curiosando tra gli hashtag si può vedere come diversi adulti, soprattutto mamme, siano presenti nei video dei figli o anche protagoniste di sketch, cimentandosi nelle parodie dei tormentoni. Quasi come se “imitare” i figli possa aiutarle a sentire meno il distacco che avviene con la loro crescita.
«Come per Fortnite, che rappresenta il videogioco social che ha conquistato soprattutto i maschi, Tik Tok piace molto alle femmine per la sua capacità di aggregare. Ci si sente parte di un gruppo, come spesso accade per tutto ciò che ha a che fare con la Rete: io gioco o seguo una challenge e dunque appartengo a quel gruppo» spiega la psicologa Barbara Volpi dell’Università La Sapienza di Roma ed esperta di educazione digitale e adolescenti.
Oltre all’evidente “pericolo dipendenza”, esistono dei lati oscuri, dentro a Tik Tok. Il primo è quello della pedofilia. Sono infatti diverse le notizie di tentati adescamenti attraverso la app. Il secondo pericolo è quello del cyberbullismo, perpetuato attraverso gli insulti rivolti verso le ragazze che mostrano il proprio corpo e che non stanno dentro al canone di bellezza previsto.
C’è poi il capitolo privacy, saltato agli onori della cronaca per una multa di 5,7 milioni di dollari combinata a Tik Tok dalla Federal Trade Commission per aver violato il Children’s Online Privacy Protection Act, che negli USA prevede che per gli utenti minori di 13 anni sia necessaria la richiesta di consenso ai genitori per il trattamento dei dati. Cosa non richiesta da Tik Tok.
E poi, inevitabilmente, trattandosi di un social visuale, la pornografia. La piattaforma ha dei filtri, non permette l’invio di immagine attraverso messaggi privati, ma pare non essere così difficile usare strategie per aggirare i controlli. Data la grande quantità di utenti e materiale che viene caricato diviene davvero difficile controllarlo in maniera profonda e quindi sotto gli occhi dei bambini e ragazzi può capitare davvero di tutto.
Due gli stimoli di riflessione che Tik Tok offre agli educatori. Il primo è che come spesso accade, delegare il controllo e la prevenzione ad un algoritmo non basta. Bisogna agire in prima linea, tenendo d’occhio i contenuti caricati, cercando di intuire comportamenti che ci sembrano sospetti e impostando gli strumenti di “controllo preventivo” che la piattaforma ci mette a disposizione, come ad esempio la “modalità ristretta” per non ricevere contenuti ritenuti dal sistema come sensibili, o, ancora, impostare il profilo come privato.
E poi l’aspetto del senso più profondo: “I balletti e i video sono tutti molto corti e veloci. È come se solo con la velocità i ragazzi si ‘animassero’, provando emozioni e stimolando le passioni, che spesso non sono più in grado di accendere con altre attività. Spesso quello che gli manca è la curiosità, che riescono a soddisfare solo sul web: guardano cosa fanno gli altri e li copiano. Tutto ciò è sempre esistito, ma una volta la ricerca di sé stessi era intimistica, oggi invece si va su internet, con i social, ma l’effetto è quello di ampliare il senso di disorientamento” dice ancora l’esperta.
In questa società sempre più iper-velocizzata, c’è ancora spazio per la “lentezza”?