Tigers
Martin Bengtsson, classe 1986, era un ragazzino sedicenne quando si avviava a diventare una stella in Svezia e poi all’Inter. Salvo ritirarsi improvvisamente dal mondo del calcio per dedicarsi ad una nuova vita, quella dello sceneggiatore, dopo il successo della sua autobiografia. Tigers, il film diretto da Ronnie Sandahl, racconta questa storia che apre uno spiraglio all’interno di un ambiente dove le glorie e il successo esaltati dai media nascondono un percorso accidentato, una formazione dura che è come una corsa ad ostacoli che può incidere in modo pesante sulla psiche e l’emotività di un giovane.
Martin è un ragazzo esile, determinato, ossessionato dall’idea di diventare un grande calciatore. Vive con la madre, con il padre non c’è alcun rapporto. È abituato all’autodisciplina, alla solitudine, cresce taciturno, volenteroso. Sul campo è un miracolo, così viene ingaggiato da una squadra italiana in cerca di talenti promettenti. Nella città italiana dove arriva, i rapporti sono gelidi: i soldi, prima di tutto. Poi, la disciplina, la competizione con i colleghi che non lo accettano, e di conseguenza il suo vivere isolato. Fra allenamenti e partite il ragazzo impara a crescere, anche come uomo: ha un amico, per fortuna, che lo aiuta ad aprirsi, a partecipare a qualche festa, trova un affetto in una ragazza svedese. Ha pure un incidente sul campo: settimane in convalescenza, la visita della madre, e la telefonata del padre che ne legge i trionfi sul giornale, e il gelo di lui. Martin in verità è troppo sensibile e ferito nell’anima per reggere allo stress della competizione costante, alle pressioni dell’allenatore e dei dirigenti. Il calcio però è tutto per lui e per questo lascia anche la ragazza. Una notte succede qualcosa di tremendo che gli farà cambiare direzione nella vita.
Con una recitazione scarna (perfetto l’attore Erik Enge), un ritmo veloce e una indagine acuta sui riflessi psicologici nei giovani all’interno dell’ambiente calcistico, il film ha il coraggio di penetrare in un mondo dove i calciatori, al di là dei luccichii, vivono autentici drammi personali di sconfitte, umiliazioni, di sentirsi oggetti di compravendita. La selezione è crudele e il film lo mostra icasticamente, senza retorica, ma nella verità. L’esperienza di rinuncia di Bengtsson farà aprire gli occhi su questo aspetto intimo e terribile ai dirigenti delle squadre. Nello stesso tempo questo racconto di formazione si presenta come una narrazione precisa e commovente della trasformazione di un ragazzo in un uomo.