E se io ti affitto la mia casa anonimamente?
Internet ci sta cambiando la vita. Ma fino a che punto, e fino a quali reconditi angoli riposti della nostra vita, non lo sapevamo. La comunicazione nella rete «non ha un “centro propulsivo”, da un qualsiasi punto della Rete arriva a qualsiasi altro punto senza alcun tipo di gerarchia, e si muove in quel territorio immateriale chiamato “cyberspazio”», così spiega in poche parole il sociologo Ricardo Díaz Thovar la “orizzontalità” propria di Internet. Nell’ambito dei commerci, poi, tale orizzontalità ha facilitato il sorgere di modalità prima inesistenti. Certuni mettono il fenomeno entro quel che si conosce come “economia collaborativa”, intesa come una sorte di ripostiglio dove si affastella un po’ di tutto, dove troviamo diversi tipi di iniziative con la comune caratteristica di poggiare sulla tecnologia dell’informazione e della comunicazione, dove è possibile interagire tra individui in modo massiccio. Al riguardo, la definizione proposta dall’Ue punta sul «nuovo concetto di commercio consistente nello scambio di beni e servizi attraverso le piattaforme di Internet», il che comporta importanti benefici sia per chi vende sia per chi compra.
L’assenza di un “centro propulsivo” e, di conseguenza, di controllo sta suscitando non pochi conflitti con i tradizionali sistemi di mercato. Ed è semplice capirlo: se io mi metto d’accordo direttamente con te per venderti una bicicletta o affittarti un appartamento, posso eludere con molta facilità le tasse. E, anche nel caso in cui persista una certa regolamentazione, si può arrivare facilmente a un conflitto d’interessi con altri concorrenti di quel settore merceologico, se questi provano che si sono usate strategie sleali, com’è ad esempio accaduto e accade continuamente in diversi Paesi (Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, solo per citare i maggiori) tra i tassisti e le applicazioni Uber e Cabify.
Un altro settore ora entrato in fase di conflittualità è quello dell’affitto di appartamenti a scopi turistici. Cioè, il mercato dei privati che offrono attraverso diverse piattaforme le loro case per un uso a tempo limitato. È un “prodotto” molto in voga nelle grandi città, ma molto contestato da ampi settori della società, in particolare i vicini nei quartieri storici, che vedono disturbata la loro quotidianità. Pensiamo alle zone di Campo de’ fiori a Roma, di Plaza Mayor a Madrid, della City a Londra. Ecco perché martedì scorso i rappresentanti di grosse città (Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bordeaux, Bruxelles, Cracovia, Lisbona, Madrid, Parigi, Reikiavik, Valencia, Vienna e dell’Associazione delle città della Germania) hanno chiesto alla Commissione europea una regolamentazione comune per far fronte ai problemi che genera questa pratica.
Riuniti con la commissaria al mercato interno, Elzbieta Bienkowska, hanno voluto discutere degli effetti negativi che produce questo tipo di commercio nelle città, e della necessità di trovare una comune interpretazione della regolamentazione che l’Ue applica alle piattaforme addette al settore, come Airbnb o Homeaway. Alcune di queste città hanno già adottato delle misure atte a controllare l’offerta di tali piattaforme, ma i conflitti continuano. Qualche esempio: Airbnb dichiara di avere 9.200 appartamenti in offerta a Madrid, con un’occupazione media annuale di 642 mila ospiti. Ciò comporta un aumento dei prezzi per i vicini dei quartieri dove si trovano gli appartamenti e altri effetti negativi per loro. Parigi è il più grande mercato urbano, con 60.529 annunci su Airbnb, di cui, nonostante l’obbligatorietà, solo 19.838 si sono registrati all’apposito albo comunale.
Insomma, le grandi città sono affollate di turisti, che trovano nella “orizzontalità” del mercato una possibilità di fare vacanze a buon prezzo. Le città, però, si sentono “invase”, ed esigono perciò una normativa che impedisca ai proprietari di offrire in modo anonimo attraverso le piattaforme d’Internet le loro case. Il problema è diventato di scala europea.